“Il COVID-19 in età pediatrica non è una problematica sinecura, la prevenzione vaccinale dai 12 anni in su deve essere fatta. Ci sono dati di letteratura sui bambini in età prescolare, scolare e adolescenziale che evidenziano come una percentuale di minorenni sviluppi la malattia in forma grave. Sono infatti migliaia i casi di sindrome infiammatoria multisistemica (Mis-C), con bambini ricoverati che rischiano il decesso. In età pediatrica la mortalità da COVID-19 non è molto inferiore, anzi addirittura è più elevata di quella registrata in diverse malattie rare”. Nicola Principi, professore emerito di Pediatria dell’Università degli Studi di Milano e referente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), non usa giri di parole e definisce “impropria ” la posizione espressa dalla Società tedesca di Pediatria e Medicina dell’Adolescenza, che supporta la raccomandazione del Robert Koch Institute di vaccinare solo i minori con particolari patologie preesistenti tra i 12 e i 17 anni o che vivono con persone adulte fragili, a rischio e che non possono essere vaccinate.
Al contrario la SIPPS chiede una vaccinazione estensiva a tutti i soggetti dai 12 anni in su, sia sani che a rischio. “La Società tedesca di Pediatria indica i soggetti a rischio come un eventuale target per la vaccinazione in età pediatrica- sottolinea Principi- ma questa è una valutazione molto discutibile. Non è ben chiaro quali siano i soggetti a rischio in età pediatrica e non è corretto trasferire al bambino le valutazioni fatte nell’adulto: le stesse malattie che nell’adulto rappresentano un fattore di rischio, non è detto che siano dimostrate esserlo nel bambino. Non ci sono dati”.
In secondo luogo, “va chiarito che alcuni dei soggetti a rischio probabilmente risponderanno poco e male al vaccino. Gli immunodepressi per definizione possono dare una risposta insufficiente alla vaccinazione e vanno vaccinati sapendo che la loro protezione è offerta sia dal vaccino che dalla possibilità che siano vaccinati anche i loro coetanei”. Terzo punto, la scuola: “Se i minorenni non vengono vaccinati, con la riapertura delle scuole ci sarà inevitabilmente una quota di questi che si infetterà, facendo tornare gli studenti alla didattica a distanza. L’unica soluzione percorribile è vaccinare tutti, tanto più che disponiamo di vaccini autorizzati in età superiore a 12 anni. Tra poco avremo anche quelli per i ragazzi under 12 che, auspichiamo, saranno utilizzati”, raccomanda Principi, fondatore della SITIP (Società Italiana di Infettivologia Pediatrica).
Un recente articolo pubblicato dalla rivista The Lancet dal titolo “L’infezione di massa non è un’opzione: dobbiamo fare di più per proteggere i nostri giovani” focalizza l’attenzione sull’argomento. “Questa osservazione è confermata dall’analisi di dati inglesi e della letteratura internazionale, soprattutto israeliana- prosegue il professore emerito di Pediatria- perché non sarà facile raggiungere l’immunità di gregge con la circolazione delle varianti del virus che riducono la capacità di protezione offerta dai vaccini. Lo stesso vaccino Pfizer, ad esempio, aveva una capacità protettiva del 94% in origine, ma ora è scesa a valori più bassi. Molto discutibile è quindi l’idea di lasciar circolare il SARS CoV2, in quanto più si replica e maggiormente darà luogo a varianti che abbassano l’efficacia dei vaccini. È una situazione che finirà per investire i bambini, coinvolgendoli sia come infettanti che come soggetti che possono sviluppare la malattia”.
Nel frattempo i dati ufficiali del governo britannico mostrano che al 4 luglio scorso il 68% della popolazione totale del Regno Unito è stato parzialmente vaccinato e, supponendo che circa il 20% delle persone non vaccinate sia protetto da una precedente infezione da SARS-CoV-2, ci sono più di 17 milioni di persone senza protezione contro l’infezione. “Se il virus circola la sicurezza sarà molto difficile da raggiungere. Questo virus può avere ripercussioni sul sistema nervoso centrale e non sappiamo cosa può accadere a distanza”. Inoltre, la comunicazione che arriva dalla Germania contiene una forte ambiguità: “Se dico che una categoria di soggetti può ammalarsi senza rischi e, quindi, può non vaccinarsi, si finisce per favorire il rifiuto vaccinale”, conclude Principi.
Non hanno perso tempo le maggiori Società scientifiche pediatriche internazionali e italiane, così come il CDC di Atlanta, che si sono ben presto dissociate dalle posizioni tedesche. I dati di efficacia e sicurezza del vaccino a mRNA BNT162b2 sulla popolazione 12-15 anni sono dimostrati in uno studio su 2.260 adolescenti pubblicato sul New England Journal of Medicine. “Dati che non sorprendono- ribadisce Lucia Leonardi, pediatra esperta in immunologia dell’Azienda ospedaliera universitaria Policlinico Umberto I e consigliere della SIPPS- perché non parliamo di bambini in cui l’ontogenesi del sistema immunitario è ancora in atto, ma di adolescenti che hanno una risposta immunitaria adattiva e cellulare alquanto equiparabile a quella dell’adulto”.
Quali sono allora i rischi connessi al non vaccinare gli adolescenti? “Una percentuale di adolescenti potrebbe risultare a rischio senza saperlo, perché una suscettibilità genetica al COVID-19 è stata descritta e interessa la risposta antivirale relativa al pathway degli interferon. Inoltre i casi di COVID-19 in età pediatrica a livello mondiale non sono esigui: il 7% della popolazione ha meno di 18 anni e sono reali le complicanze a lungo termine. Oltre alla nota Mis-C, sono descritte ad esempio complicanze renali- ricorda Leonardi- ma anche sintomi neurologici e neuropsichiatrici, non solo quelli indiretti legati alla sopraggiunta condizione ambientale (che hanno portato a un incremento di tentati suicidio, atti di autolesionismo e disturbi alimentari), ma vere e proprie sequele della malattia COVID-19 quali cefalea, vertigini, convulsioni e disturbi olfattivi e del gusto. Non abbiamo ancora la misura dei danni reali che saranno riconducibili nel lungo periodo ad una infezione COVID-19 in età pediatrica, seppur con iniziale manifestazione paucisintomatica”. La dottoressa Leonardi rettifica infine un’ultima comunicazione emersa dalla posizione tedesca: “Dire che gli adolescenti si ammalano meno non vuol dire che si infettino meno, soprattutto alla luce della loro intensa attività sociale. Nel nostro centro abbiamo vaccinato molti ragazzi pronti a partire per campi scuola e viaggi all’estero. Dobbiamo intervenire sui potenziali ulteriori fenomeni di shift antigenico, responsabili delle varianti- puntualizza Leonardi- e per farlo occorre agire con una vaccinazione quanto più capillare possibile”.
Per il presidente SIPPS, Giuseppe Di Mauro, tuttavia le sole vaccinazioni di massa non bastano: “Siamo favorevoli a vaccinare tutti gli adolescenti dai 12 anni in su, ma i vaccini non sono un ‘liberi tutti’. Dobbiamo continuare ad utilizzare le misure di sicurezza e i dispositivi di protezione individuale (mascherine, igiene delle mani e distanziamento), perché con la circolazione delle varianti bisogna stare ancora più attenti. Stiamo ancora studiando l’evoluzione del virus, nonché il meccanismo di protezione del vaccino da un punto di vista immunitario”.