Tra escalation di violenze, fughe all’estero e dimissioni volontarie dalla sanità pubblica, c’è ancora ben poco da sorridere, il bilancio è negativo, le prospettive non sono certo rosee e in gioco c’è il nostro futuro e quello dei servizi sanitari a disposizione dei cittadini.
ROMA – La recente indagine Bes 2023 dell’ISTAT rivela, drammaticamente, che si sta sciogliendo come neve al sole, giorno dopo giorno, la fiducia della collettività nei confronti dei professionisti sanitari e del loro operato.
Con un divario enorme tra Nord e Sud, dove nel primo caso la sanità, nonostante i disagi e le carenze in molte regioni in qualche modo “si regge a galla”, il report dimostra apertamente come i cittadini credano sempre meno nelle competenze di medici e infermieri, e in particolar modo sono i professionisti dell’area non medica ad essere finiti nuovamente nell’occhio del ciclone, dopo che durante il Covid, in qualche modo, gli sforzi e l’impegno profuso, che in realtà sia chiaro sappiamo bene non vengono mai meno, erano stati messi in risalto dalle difficoltà e dalla cronaca quotidiana dei contagi.
I numeri, in particolar modo, di questa indagine, dicono che il punteggio medio (in una scala da 0 a 10) per i medici è passato da 7,3 nel 2021 a 6,9 nel 2023 e, analogamente, per il personale sanitario non medico da 7,2 a 6,8. La percentuale più elevata si registra per il Mezzogiorno, rispettivamente 24,2% e 26,6% per le due figure professionali, valori medi al Nord, pari rispettivamente a 18,5% e 18,9% e più bassi al Centro, 16,8% e 18,0%.
Incredibile ma vero, commenta Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, siamo di fronte all’ennesimo dei paradossi che ha il sapore della beffa più amara».
«Gli infermieri, le ostetriche e gli altri professionisti dell’assistenza, in Italia, con una retribuzione ferma al palo da anni, tra le più basse d’Europa, alle prese con una condizione psico fisica sempre più delicata, legata alla disorganizzazione e alle carenze strutturali, allo stress e alla fatica accumulata e alla enorme carenza di personale, e soprattutto non in grado, nel nostro Paese, di reggere il passo con l’aumento spropositato del costo della vita, corrono sempre più il rischio di diventare, agli occhi dei cittadini, i responsabili numero uno della crisi del nostro sistema sanitario.
Al di là dei proclami del Governo, continua De Palma, al di là delle propagande politiche e delle celebrazioni, dobbiamo fare i conti, in questo 1 maggio 2024, con l’ennesimo bilancio amaro, ma soprattutto abbiamo il dovere di chiedere al Governo di non indugiare per cambiare le cose.
Cambiamento radicale per i professionisti sanitari significa prima di tutto tutelare la salute dei cittadini e dei soggetti più fragili: ci domandiamo ogni giorno cosa aspetta la politica a comprendere tutto questo!
Siamo sempre più un capitale professionale-umano di enorme rilevanza: report autorevoli a livello mondiale dimostrano che senza professionisti dell’assistenza non c’è futuro per la salute dei cittadini. Anzi senza infermieri aumentano i rischi e la mortalità.
Tuttavia, nel contesto strettamente italiano, dobbiamo fare i conti con le fughe all’estero delle nostre eccellenze che non conoscono freno, con le dimissioni volontarie dalla sanità pubblica e con la condizione psico-fisica di professionisti sempre più stanchi, sviliti e scontenti.
Tutto questo è aggravato, come detto, dallo sgretolarsi della fiducia dei cittadini, che si traduce in una escalation di violenze che negli ultimi mesi ha toccato una brutalità inaspettata. Siamo arrivati ai morsi, alle bottigliate in testa, alle minacce di morte, alle mani al collo con tentativi di strangolamento, finanche alle pistole che sono comparse nelle corsie degli ospedali!
E mentre hanno appena ripreso le trattative contrattuali, ancora nella fase iniziale e più complessa, con il nostro sindacato che ha chiesto al Governo una svolta in termini di stanziamento di risorse straordinarie, con la cifra di 425 milioni di euro destinate ai professionisti sanitari, integrative rispetto alle risorse contrattuali, siamo a raccontarvi l’ennesimo 1 maggio, tempo di bilanci, in cui c’è ben poco da gioire.
Qui serve investire in una sanità di qualità, senza cercare vie traverse o scorciatoie come qualcuno sta facendo provando addirittura la via delle Americhe.
Occorre ripartire valorizzando il NOSTRO CAPITALE UMANO!
Questo 1 di maggio celebriamo il paradosso, con l’Italia tra i paesi d’Europa con i salari fra i più bassi, la precarietà lavorativa diffusa e la (in)sicurezza sul lavoro che produce ogni giorno tre morti e troppi infortuni e malattie. Per capirci. Il numero di lavoratori precari negli ultimi trent’anni circa (1998 – 2018) è aumentato.
Si è passati dal 12,1 al 27,3%. Una crescita che rivela anche l’aumento del lavoro grigio, cioè quella ricompensata da un salario erogato “fuori busta”. Fenomeno molto pericoloso, oltre che illegale, funzionale alla mancanza di sicurezza sul lavoro, di sub-appalti selvaggi, di mancate coperture previdenziali ed assicurative di vario tipo.
È cresciuto poi il lavoro povero, quello con redditi al di sotto degli 11.500 euro annui, con un passaggio dal 26,7 al 31,1 %.
Nel periodo considerato poi la totalità di coloro che hanno preso un salario inferiore ai 9 euro l’ora (17.800 euro annui lordi) è passata dal 39,2 al 46,4%.
Molto altro si potrebbe aggiungere, ma tanto basta per rendere il quadro drammatico della situazione dove, anche in tema di retribuzioni, gli infermieri, e le altre professioni sanitarie non mediche, rappresentano un indicatore sociale delle pessime condizioni socio-economiche di questo Paese.
L’attuale Governo e le regioni, che hanno le leve per agire “ora”, comprendano, finalmente, che il tempo della svolta non può essere procrastinato! In gioco c’è la salute dei cittadini! Il futuro dei professionisti sanitari e delle loro famiglie!», chiosa De Palma.