Roberto Ginatta e Cosimo di Cursi, rispettivamente presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato della Blutec, la società che ha rilevato l’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, sono stati posti agli arresti domiciliari dalla Guardia di Finanza con l’accusa di malversazione ai danni dello Stato. Contestualmente, è stato emesso un decreto di sequestro preventivo dell’intero complesso aziendale e delle relative quote sociali, nonché delle disponibilità finanziarie, immobiliari e mobiliari riconducibili agli indagati fino all’importo di 16 milioni e 516 mila euro.
Gli indagati sono accusati di aver distratto ingenti finanziamenti pubblici, erogati da INVITALIA (per conto del Ministero dello Sviluppo Economico), per sostenere il programma di sviluppo finalizzato alla riconversione e riqualificazione del polo industriale di Termini Imerese (PA), che prevedeva la realizzazione di una nuova unità produttiva presso gli opifici della ex impresa FCA Italy S.p.A. per la produzione di componentistica automotive.
La B. spa, costituita nel 2014, con sede in Pescara, ha sottoscritto nel 2015 l’accordo di programma con i dicasteri dello Sviluppo Economico, del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la Regione Siciliana e il Comune di Termini, per un importo complessivo di circa 95 milioni di euro, chiedendo agevolazioni pubbliche per oltre 71 milioni di euro (67 milioni per finanziamento agevolato e 4 milioni a fondo perduto).
A partire dal dicembre 2016, sono stati erogati alla società circa 21 milioni a titolo di anticipazione.
Le indagini, svolte tramite l’ausilio di complessi riscontri finanziari, ispezioni, perquisizioni, di una consulenza tecnica e dell’assunzione di informazioni nei confronti di dipendenti e fornitori della B., hanno consentito di dimostrare che almeno 16 dei 21 milioni di contribuzioni pubbliche non sarebbero mai stati impiegati per i fini progettuali previsti, né restituiti a scadenza delle condizioni imposte per la realizzazione del progetto (31 dicembre 2016, termine poi prorogato fino al 30 giugno 2018).
Alcune spese sono state giudicate non ammissibili, in altri casi i fondi pubblici sono stati utilizzati per l’acquisto di beni (ad esempio software) impiegati a beneficio di altre unità produttive dell’azienda site fuori regione e non presso il polo industriale di Termini Imerese.
A tutt’oggi, nonostante la revoca del finanziamento intervenuta ad aprile del 2018, le procedure di restituzione non sono state ancora avviate.
A conclusione delle indagini delle Fiamme Gialle, il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Termini Imerese, su richiesta della locale Procura della Repubblica, ha disposto gli arresti domiciliari di C. D. C. e R. G.: i due indagati, inoltre, sono stati raggiunti da un provvedimento, a firma del medesimo G.I.P., di una misura interdittiva concernente il divieto per la durata di 12 mesi di esercitare imprese e uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
Nei confronti dei due indagati, inoltre, si sta procedendo al sequestro preventivo delle disponibilità finanziarie, nonché del patrimonio immobiliare, fino a concorrenza del profitto della malversazione per un importo superiore ai 16 milioni di euro.
Perquisizioni sono in corso su tutto il territorio nazionale. L’azienda (il cui valore supera i cento milioni di euro) e le sue numerose unità locali sparse in tutto il territorio italiano, compreso lo stabilimento di Termini Imerese, sono state sequestrate al fine di evitare la prosecuzione di condotte di malversazione e affidate a un amministratore giudiziario, che avrà il compito di assicurare la continuità aziendale della società.
La B. spa è stata segnalata per responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato (decreto legislativo n. 231 del 2001), per aver tratto un indebito profitto dal reato di malversazione commesso nel suo interesse da G. e D. C..
La Guardia di Finanza prosegue la propria azione di contrasto agli sperperi di risorse pubbliche provenienti dai fondi europei, nazionali, regionali e locali, che rappresentano un rilevante danno non solo per il complessivo sistema degli incentivi alle imprese ma soprattutto alimentano una concorrenza sleale a nocumento degli operatori economici onesti e rispettosi delle regole.