Donne e sport: la strada verso la parità è ancora lunga

Mancano investimenti, tutele, opportunità e rappresentazione. Il progetto Uisp Sic! si impegna a costruire spazi di partecipazione e inclusione…

Lo sport dovrebbe essere uno spazio di libertà, crescita e pari opportunità. Eppure, per le donne, il percorso è ancora pieno di ostacoli. Se alle Olimpiadi di Parigi 2024 è stata finalmente raggiunta la parità numerica tra atleti e atlete, al di fuori di questo contesto il divario di genere è ancora evidente. Le atlete guadagnano meno, hanno meno visibilità, meno accesso alle strutture e alle competizioni, e ancora oggi devono lottare per avere pari dignità nello sport.
Negli ultimi decenni, la partecipazione femminile allo sport è aumentata di molto, ma il gap con gli uomini è ancora netto. Secondo i dati Istat (2024), solo il 24% delle donne pratica sport in modo continuativo, contro il 32,9% degli uomini. Anche nei ruoli di responsabilità lo sport rimane un mondo dominato dagli uomini. Da una ricerca Censis, infatti, emerge che solo il 20% delle allenatrici e il 15% delle dirigenti di società sportive sono donne, mentre tra le organizzazioni che dirigono lo sport riconosciute dal Coni, solo due su 77 sono guidate da una presidente donna. Una sottorappresentanza che pesa anche sulle politiche sportive e sulle scelte che influenzano lo sviluppo dello sport femminile.

Il divario è anche economico: le atlete guadagnano meno e anche il valore dei premi per diversi sport è inferiore quando si tratta di competizioni femminili. Infatti, anche quest’anno, nella lista dei 100 atleti più pagati non ci sono donne. Questo è dovuto anche a un diverso riconoscimento della professionalità delle atlete. Basti pensare che, fino al 2020, in Italia solo il calcio maschile era riconosciuto come sport professionistico. Solo con la riforma del 2022 il calcio femminile ha ottenuto questo status, ma molte altre discipline sono ancora escluse, lasciando le atlete senza tutele contrattuali e previdenziali.
La disuguaglianza è anche una questione di dati mancanti, come spiega un interessante articolo di Marialaura Scatena. Mentre per gli uomini esistono da decenni statistiche dettagliate su prestazioni, infortuni e metodologie di allenamento, per le donne il quadro è molto più frammentario. Ad esempio, ricerche scientifiche hanno dimostrato che le atlete sono molto più esposte alla rottura del legamento crociato rispetto agli uomini, ma la prevenzione si basa ancora su protocolli sviluppati sul fisico maschile. Questo significa che molte atlete si infortunano più facilmente, semplicemente perché la scienza sportiva ha ignorato per anni le specificità del corpo femminile.

Ma non si tratta solo di risorse e investimenti. Lo sport femminile è ancora segnato da pregiudizi, molestie e discriminazioni. Secondo una pubblicazione UNESCO, il 21% delle atlete ha subito abusi sessuali in ambito sportivo, quasi il doppio rispetto agli uomini. Molte ragazze subiscono i primi episodi di violenza mentre praticano sport da bambine o adolescenti, con ambienti ostili che finiscono per allontanarle dallo sport. Gli allenatori e i coetanei sono tra i principali autori di molestie e abusi, ma emergono anche casi che coinvolgono figure di autorità come medici sportivi, massaggiatori o dirigenti​. E anche nella narrazione mediatica dello sport femminile, appena il 5% della copertura totale, troppo spesso il focus è sull’aspetto estetico o sulla vita privata delle atlete, piuttosto che sulle loro prestazioni.
Negli ultimi anni, infine, il dibattito sulle donne transgender nello sport è stato spesso usato per distorcere il discorso sulla parità di genere, spostando l’attenzione su un presunto vantaggio biologico piuttosto che sui reali problemi che affrontano le atlete. Negli Stati Uniti, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per vietare alle donne trans di competere negli sport femminili, sostenendo di voler proteggere le atlete. Tuttavia, non esistono casi di atlete trans che abbiano “dominato” lo sport di alto livello, e molte delle atlete citate per giustificare questo divieto non sono nemmeno transgender, ma iperandrogine, come nel caso della pugile Imane Khelif. Questa retorica però, potrebbe contribuire a mascherare i veri problemi dello sport femminile: la mancanza di investimenti, di tutele, di opportunità e di rappresentazione.

La strada per la parità è ancora lunga, ma le soluzioni sono sempre più chiare: aumentare la presenza femminile nei ruoli di leadership, investire nella ricerca sulle atlete, garantire pari opportunità economiche e mediatiche, e creare ambienti sportivi sicuri e inclusivi. Il progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione, attivo in 17 città con il supporto di Uisp, UNAR e Lega Serie A, sarà un punto di riferimento per promuovere uno sport accessibile e libero da discriminazioni. Attraverso attività sportive, momenti di sensibilizzazione e corsi di formazione per operatori e operatrici del settore, SIC! contribuirà a costruire spazi di partecipazione e inclusione reali, affinché ogni donna o ragazza possa sentirsi libera di praticare sport senza ostacoli o pregiudizi.