Potrà una maestra in classe chiedere al bambino “come sta la mamma?” e “come sta papà?” o dovrà dire “come sta il genitore uno?” e “come sta il genitore due”?
Ho riflettuto prima di scrivere questo titolo perché, facendo dell’ironia, mi pareva di banalizzare una tragedia che riguarda l’attuale nostra società e, soprattutto, di mancare di rispetto a bambini innocenti; dicevano, infatti, gli antichi latini: “Maxima debetur puero reverentia” (bisogna avere il massimo rispetto per i bambini) e oggi – nonostante le apparenze, le favole liquorose raccontate nei film e nei romanzi, la propaganda massiccia delle televisioni, le parole vane di tanti politici e di personaggi pubblici, di sociologi e “maestri” di pensiero, i propositi di garanti e assessori nei dicasteri “per l’infanzia” e “per la famiglia”, i palloncini multicolori lanciati al vento e gli aquiloni e le candele accese… – di “reverentia” nei riguardi dei bambini ne è rimasta pochissima; basti pensare ai 7 (sette) milioni di loro (solo in Italia!) a cui la “legge” 194, dal 1978, ha impedito di nascere e di cui nessuno parla o alla ferita inferta ai più piccoli dagli stessi genitori quando si separano, ai tantissimi abbandonati ai pericoli mortali dei nuovi “giochi” telematici diffusi da criminali impuniti o a quant’altro di ignobile e innominabile viene perpetrato e perfino organizzato nei confronti di minori nel mondo e di cui si ha notizia solo in minima parte!
A tutto ciò, l’altro ieri (14-1-2021) – “grida fresca”, direbbe l’azzeccagarbugli del buon Manzoni – una signora del Governo ha aggiunto il ripristino nei registri scolastici della dicitura “genitore uno” e “genitore due” sostituendo “madre” e “padre”, così credendo di aver fatto un’opera buona per non discriminare nessuno etc.
Certo, col tempo, ci si può assuefare e abituare a tutto, anche ad aberrazioni come questa; ciò, del resto, gli attuali giovani politicanti che ci governano sembrano augurarsi che avvenga anche a noi che, per ragioni di età, ci diciamo irriducibili: una sorta di nostra volontaria e spontanea “eutanasia” del pensiero e dell’anima prima di quella fisica del corpo. Forse qualche nonno si piegherà e, pressato dalla propaganda massiccia e dalla acquiescenza di molti, in nome della evoluzione dei tempi, si lascerà infinocchiare e si dirà d’accordo e perfino contento; io, però – sebbene classico “zero-virgola” – pretendo di avere il mio angolo di diritto e di libertà per manifestare un netto rifiuto a ciò che ha stabilito quella tale signora perché lo sento come una violenza non solo ai bambini, ma anche a me stesso che, nato intorno agli anni Quaranta, ho visto un mondo diverso e non posso convivere con simili follie. Infatti, all’epoca della mia infanzia, nessuno immaginava che avremmo dovuto assistere alla negazione della evidenza e del buon senso, cioè alla cancellazione, in nome della Democrazia, dei nomi santi di “madre” e di “padre”.
Bene diceva Chesterton: “Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due + due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. Ora ci siamo arrivati! Nel nostro secolo si sta negando il principio universale che per generare ed educare un bambino sono indispensabili un uomo-padre e una donna-madre. In margine a questo mio sfogo personale, aggiungo che resto sbalordito nel constatare come i nostri governanti, confusi e incapaci di affrontare una crisi più grande di loro e mai vista dal 1945, trovino però il tempo per infilare, nel silenzio totale, leggi e regolamenti sui genitori “uno” e “due” o sull’ “omofobia” approvata alla Camera il 4 novembre scorso, come se gli italiani non avessimo già altri e più gravi problemi con la…pandemia, la disoccupazione, la fame, la fila per il pane quotidiano, la disperazione che stanno distruggendo le nostre anime e i nostri corpi.
Ma per spiegare in qualche modo il perché delle “sparate” dei nostri politici, occorre fermarsi e riflettere su quanto è avvenuto in questi ultimi decenni, altrimenti si rischia di non capire e di dare dei calci al vento.
Questi trenta-quarantenni capitati in Parlamento, sono, consapevoli o no, figli di una Rivoluzione che gli studiosi fanno risalire al 1968: un “anno” spartiacque e lunghissimo che, preparato da decenni di incubazione, durò almeno un lustro. Chi fu presente allora e vi partecipò in prima persona e stette “sulle barricate”, come il sottoscritto, vide in quell’evento il tramonto di un’epoca e l’avvio di un’altra diversa e contraria. Molte cose, ovviamente, possono dirsi pro o contro quel fatto epocale e tutte sono legittime; ma la mia sintesi che condivido con gli amici è quella che segue.
Il Sessantotto, a parer mio, ebbe due anime: una “politica” e una “culturale”.
Quella “politica” fu, dopo i primi ingenui entusiasmi giovanili per un “mondo nuovo” immaginato, la riproposizione del marxismo-leninismo a molti giovani per lo più borghesi e cristiani “evoluti” che, in ritardo, ne scoprirono la dottrina e pensarono di cambiare la società con uno strumento – il Comunismo – allora già obsoleto che, dove era al potere, si sosteneva soprattutto coi carri armati, la polizia segreta e i campi di lavoro per gli oppositori. Così nell’ambito, diciamo, strettamente “politico” esso tentò di riprodurre una “rivoluzione” che – date le caratteristiche della nostra Patria – non poteva non fallire e che sfociò e si esaurì nella violenza di piazza, prima, e nel terrorismo delle Brigate Rosse, poi.
Nel campo “culturale”, invece, il “68” vinse su tutta la linea e trasformò la società inaugurando quella che alcuni pensatori cattolici chiamano la “IV Rivoluzione” che dura ancora e si protende verso sempre nuovi traguardi; essa, parafrasando Sant’Agostino, si situa e inizia “in interiore homine”, cioè nelle passioni e nelle tendenze disordinate del cuore umano, poi dilaga diventando “costume” e si manifesta soprattutto nell’aggressione alla Famiglia e alla Vita attraverso la rivoluzione sessuale, il femminismo, il divorzio, l’aborto e la droga; questi, diffusi prima solo presso categorie borghesi agiate e danarose, d’allora in poi, poco alla volta, furono creduti “valori” e proclamati “diritti” per tutti da conquistare a qualsiasi costo; ciò potè verificarsi con la diffusione della filosofia del relativismo che, divenuto dogma universale, impedì la distinzione fondamentale tra il “bene” e il “male”, anzi ciò che prima era ritenuto “male” e semmai tollerato, col passare del tempo e la evoluzione, divenne “bene” pretendendo di essere codificato dalla autorità dello Stato che, infatti, vi appose il suo timbro facendolo diventare “legge”: giustamente il cardinale Ratzinger nel 2005 parlò di “dittatura del relativismo”.
Questa mia veloce sintesi che – ovviamente – necessiterebbe di una trattazione molto più articolata, è per dire che oggi i “nostri” politici protagonisti – che mettono mano a “leggi” come l’omofobia, l’utero in affitto, genitore uno e genitore due, la scelta del sesso col gender, la liberalizzazione della droga, bambini nati da tre mamme e padri sconosciuti e quanto di capovolto e inaccettabile escogiteranno in un prossimo futuro – rappresentano il frutto “migliore” del disordine che, a partire dal “68”, ha subito una evidente accelerazione.
Sono tentato di pensare che, in fondo, essi potrebbero esserne i meno responsabili perché quel disordine gli è stato propinato da chi ora ha i capelli bianchi. Parlo di quelli che sedettero allora sulle cattedre (professorini poterono insegnare a man salva ai ragazzi che era giusto scappare di casa o disubbidire ai genitori perché la famiglia era sempre “squallida e “ipocrita”, fare sesso libero anche coi minori, che la droga faceva bene perché allargava la mente…!), di qualcuno che proferiva “eresie” nelle chiese (ricordo un prete col medaglione di Che Guevara sul petto), di chi scriveva menzogne sui giornali o dirigeva case editrici (stamparono e distribuirono gratis opuscoli per la guerriglia urbana), nelle televisioni, nel cinema che ha una potenza enorme di persuasione, nei partiti, nei sindacati, nelle università, nelle assemblee, e nelle piazze (maestri elementari – sembra incredibile! – portarono classi di bambini nei cortei): i cosiddetti “diritti civili”, di cui parlano sempre tutti i politici della Sinistra, furono pensati e preconizzati 50 anni fa e sono alla base del loro pensiero e delle loro aspirazioni, tanto è vero che, se su molte cose paiono perfino scannarsi a vicenda (vedi le attuali manovre per la crisi di Governo!), su questi “diritti”, poi, votano compatti. Ciò significa che è il loro dna a cui non possono rinunciare e che viene prima di qualsiasi altra cosa; ecco perché, nonostante la tragedia della pandemia, anzi, sfruttando il disorientamento prodotto da essa, votano quasi nascostamente certe leggi e ripristinano la ridicola dicitura di “genitore uno” e “genitore due”!
Conclusione
Quando dal “Colle” ci sarà data – finalmente! – la licenza di votare, spero che i lor signori del Partito Democratico post-comunisti, Cinque stelle dilettanti totali, Liberi e Uguali neo-comunisti, Italia Viva del “cattolico” Renzi, non chiedano il mio voto perché è chiaro che, dopo tutto quello che in qualche modo mi sono sforzato di dimostrare, nei loro confronti potrò masticare solo delle “male parole”.
Preciso: gli voterò contro non per gli errori commessi con la pandemia (quarantene, colori di Regioni, banchi a rotelle che fanno ancora ridere, monopattini, maschere, vaccini, siringhe e quant’altro…) ché maldestri in questo campo, chi più e chi meno, sono stati tutti i governi del mondo messi di fronte al flagello “cinese” mai visto prima e di tali proporzioni, ma perché costoro odiano le evidenze e il buon senso della Natura creata da Dio!
Carmelo Bonvegna