Può una regina diventare santa? Una bella e suggestiva domanda, che dovrebbe incuriosire almeno chi si definisce cattolico. «Sono Maria Cristina», così amava firmare la Regina del Regno delle Due Sicilie, mi riferisco a Maria Cristina di Savoia andata in sposa a Ferdinando II di Borbone nel 1832. Sono poche le pubblicazioni che raccontano la breve storia di questa giovane sovrana. Qualche anno fa ho letto e recensito un’ottima biografia “Maria Cristina di Savoia. Figlia del regno di Sardegna, regina delle Due Sicilie”, (Arkadia 2012) dei sardi Mario Fadda e Ilaria Muggianu Scano.
Ho appena finito di leggere un altro studio sulla regina, della storica Cristina Siccardi, “Sono Maria Cristina. La Beata Regina delle Due Sicilie, nata Savoia”, pubblicato nel 2016 da San Paolo. In una intervista sul libro, l’autrice a domanda risponde: «ho trovato questa formula molto bella e allo stesso tempo molto importante perché denota la sua grande personalità: caritatevole e perfettamente in linea con lo stilema evangelico, ella manifestò allo stesso tempo una forte determinazione ed anche per questo motivo riusciva ad essere convincente e ad influenzare benevolmente le persone con cui viveva o veniva a contatto».
Nel libro la Siccardi descrive la vicenda storico-spirituale di questa Regina cattolica. Ella, pur desiderando la vita monacale, accetta di seguire il suo dovere di principessa, infatti, per ragioni di Stato, sposa Ferdinando II di Borbone. «Come lei, – precisa la storica torinese – molte altre principesse nel corso della storia si sono coniugate per assolvere le ragioni di Stato e grazie al loro sacrificio hanno portato concordia fra i popoli, collaborando alla buona riuscita dei rapporti fra gli Stati ed hanno risolto delicatissimi casi diplomatici, impedendo guerre e salvando innumerevoli vite umane».
Nella premessa della Siccardi definisce Maria Cristina come “regina della vita”, definizione appropriata per una giovane donna che sostanzialmente è morta per aver partorito il proprio figlio. «Nell’età dove vigono negli Stati le leggi abortiste, questa santa madre è un modello straordinario di vita trasmessa e di amore realizzato».
Il popolo del Sud non l’ha dimenticata, «la portano come modello edificante di sposa e di madre, sempre sollecita, sempre pronta, attiva al fianco del consorte, re Ferdinando II e attenta alle esigenze della gente, china sugli infelici e provvida nel dare assistenza e lavoro». Ecco in poche parole quello che fu la beata Maria Cristina, beatificata dalla Chiesa il 25 gennaio 2014.
Ma perché quasi nessuno parla di questa regina? Perché tanto silenzio? Rotto soltanto da qualche libro, magari pubblicato da case editrici marginali. Perché mai invece c’è tanto schiamazzo intorno a Virginia Oldoini contessa di Castiglione, meritevole soltanto di essersi concessa a Napoleone III. Perché viene trascurata dalla storiografia, come se ne avesse timore.
La risposta è evidente: Maria Cristina fu cattolica e Santa, una figura così è inaccettabile per la cultura e la propaganda progressista. Maria Cristina fu figlia obbediente, sposa devota e madre generosa: tutti comportamenti santificanti, ma alla civiltà moderna appaiono autolesivi. Maria Cristina fu una donna cosciente del proprio ruolo, dei suoi doveri e consapevole delle enormi incidenze sociali e civili. Ha compiuto il proprio dovere dove Dio l’aveva chiamata a stare, ha realizzato pienamente se stessa, anche se conosciamo il suo intento di abbracciare la vocazione monacale. Alla fine assecondò la volontà del re Carlo Alberto di sposare Ferdinando II.
Nata a Cagliari il 14 novembre 1812, da Vittorio Emanuele I e da Maria Teresa d’Asburgo d’Este. Maria Cristina è stata amata e addirittura venerata dall’Italia meridionale, condensando in sé tutti i connotati italiani: «innanzitutto il Credo cattolico; un’ampia cultura umanistica e scientifica; l’amore per l’arte e le cose belle; una femminilità dolce e forte: cioè mite, ma risoluta; inoltre onestà di vita; fedeltà nelle relazioni con le persone; uso della sana prudenza, che permette di non cadere nelle trappole e nei pettegolezzi».
Pertanto senza voler forzare, la regina sabauda, nonostante i pochi anni trascorsi a Napoli, rappresenta l’ideale unificatore reale e concreto del nostro Paese, lei principessa di Casa Savoia, sabauda in tutto e per tutto, sposa di un re Borbone di Napoli. Invece rileva la Siccardi, l’ideologia risorgimentale, quella sottostante alla celebre frase di Massimo d’Azeglio «Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani», rappresenta « un’ideologia astratta, che ha portato ad una Unità imposta con la violenza e il sangue da liberali, carbonari e massoni (con l’appoggio della Massoneria inglese)». Tutto fa pensare che la giovane regina, scomparsa prematuramente, poteva senz’altro condurre attraverso i suoi metodi, «ad una Unità come sviluppo naturale di un sentimento nazionale culturalmente già esistente – a partire dal Medioevo e grazie soprattutto alla Cattolicità – anziché creare l’Italia della sconfitta di Adua, l’Italietta dei governi traballanti e della continua emorragia dell’emigrazione». Gli effetti benefici della sua presenza avrebbero sicuramente proseguito il loro corso, con ripercussioni non indifferenti anche a livello politico-sociale.
Del resto per la Siccardi, è stata una «Regina unitiva: senza violenza alcuna, ma con il sorriso e la sua straordinaria dolcezza, unì due corti, due mondi molto diversi fra di loro. Senza paradossi si può realmente affermare che lo spirito piemontese e lo spirito meridionale trovarono con lei felice unità».
Il testo di Cristina Siccardi, è di agevole lettura, composto da quattordici capitoli, con due appendici finali. Ogni capitolo è ricco di particolari che ne fanno una biografia completa della straordinaria Regina di Napoli.
Nel 1° capitolo (Trono e l’Altare), l’autrice fa riferimento al contesto storico in cui è nata la nostra protagonista. Il periodo della cosiddetta Restaurazione, successiva allo tsunami della Rivoluzione francese, che aveva spazzato via tutti i troni dell’Ancien regime. Non so quanto sia forzoso, ma la Siccardi colloca la giovane Regina di Napoli al pensiero controrivoluzionario del Chateaubriand, di De Maistre. Il capitolo descrive la permanenza dei regnanti di Casa Savoia in Sardegna, che, ci tiene a precisare la Siccardi, non era un “esilio”. Era l’unica porzione di Regno non occupato dalle forze militari napoleoniche.
Maria Cristina visse questo periodo infausto, magari descritto negativamente dagli storici, con toni pessimistici e depressivi. Si volle rappresentare l’ambiente in cui era vissuta come un contesto monacale. Invece la principessa fu sempre grata al suo ambiente profondamente cattolico. «Maria Cristina crebbe circondata dall’affetto, in un ambiente sereno, ma dove si premiavano disciplina e autocontrollo: in Casa Savoia, come fu per secoli, si proponeva un’educazione seria per diventare persone coscienti delle proprie responsabilità». Forse questo tipo di educazione che circolava nei vari Casati dell’epoca, meriterebbe maggiore considerazione e studio, invece di essere denigrato e sbeffeggiato dai vari soloni della scrittura.
Perfino Benedetto Croce ebbe una grande stima e ammirazione per la corte e per la beata regina. «La famiglia Savoia viveva cattolicamente e la fede era un tutt’uno con la vita quotidiana, l’una non si disgiungeva dall’altra e viceversa».
Nel 2° capitolo (Il suo senso di appartenenza). La Siccardi attraverso lettere e documenti conservati negli archivi storici, come nella Biblioteca reale di Torino, racconta gli interessi della giovane Cristina, la spiritualità, della principessa, «il forte sentire cattolico, unito a una spiccata umiltà […]di profondo rispetto per l’autorità sia paterna che regale […] la sua spiritualità, votata a Cristo Re».
L’autrice da conto delle letture della beata, del Catechismo di Michele Casati, vescovo di Mondovì. La grande influenza spirituale esercitata dal benedettino olivetano, di origine napoletane, Giambattista Terzi, che ha istruito la sua allieva anche nelle discipline umanistiche e scientifiche.
Il 3° capitolo (A Roma) si dà conto dei continui viaggi della famiglia reale, soprattutto di Cristina. Vittorio Emanuele I dopo aver abdicato, provato dalle tensioni, lascia questa terra, il 10 gennaio 1824. Cristina fu straordinariamente colpita dalla perdita del padre che amava molto. Verso la fine del 1824 Cristina, sua madre e la sorella Maria Anna fecero il viaggio a Roma in occasione dell’apertura dell’Anno Santo. Qui rimasero per sette mesi. Quelle giornate romane furono intense. Oltre a conoscere personalmente il Pontefice, visitò chiese, santuari e soprattutto le catacombe.
Cristiana, «con devozione si reca alla casa di Prisca sul colle Celio, a quella di Domitilla sul Palatino e così in tutte le catacombe dei primi cristiani». Aveva un grande interesse per la storia dei martiri, collezionava le reliquie, tanto che il Papa Leone XII decise di farle avere le reliquie della martire Giasonia, rinvenute in una catacomba.
Il 4° capitolo (Un’antica storia di santità) è dedicato completamente alla santità della Casa Savoia intrecciata da sempre con la Chiesa cattolica, fino al Risorgimento italiano, dove si interruppe questo vivo legame, per colpa delle forze laiciste e massoniche (argomento che Siccardi approfondirà in uno studio pubblicato recentemente dalla casa editrice Sugarco).
La Siccardi offre un elenco dei sei beati e poi degli altri che sono venerabili, tuttora in corso le cause di beatificazione. E’ impressionante constatare il gran numero di uomini e donne di Casa Savoia che hanno vissuto concretamente le eroiche virtù del Vangelo e morti in odore di santità. Una santità dimenticata, forse perché è una Storia ancorata a doppio nodo alla Chiesa di Cristo, pertanto invisa a tutte le forze in campo oggi, fortemente anticristiane. «Quanto bene intellettuale e morale – scrive Siccardi – si potrebbe fare portando gli studenti a conoscenza di questa Storia? È incalcolabile. Divulgare una Storia non più censurata e imbavagliata, significherebbe anche avere molte meno frustrazioni sociali perché là dove arriva il Cattolicesimo arriva il benessere materiale e spirituale».
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Domenico Bonvegna