Quello che si potrebbe definire un anti-diario, ossia una quotidianità messa in scena, costruita, in cui i simboli rientrano all’interno di un’iconografia attentamente calcolata. Arturo Delle Donne elabora un progetto di forzata reclusione, in cui la famiglia (la propria) occupa gli spazi della casa, ma cercando scappatoie luminose, interazioni con lo spazio esterno: una vista momentaneamente interrotta.
Sarà difficile riorganizzare il materiale fotografico prodotto in questo periodo, in questi ultimi mesi.
Una quarantena diventata virale, la rete e i social hanno mostrato una fotografia ipertesa, iperattiva, con i battiti a mille, vicina ad una crisi di nervi. Tutto prevedibile: un’ansia produttiva in un momento di stasi, di avvelenamento sociale (infiammato anche da una solidarietà che spesso ritengo passeggera e quindi insana). Ma il momento aveva e ha un’evidenza storica, che sembrava e sembra non andasse sprecata, come quando ti trovi casualmente ai margini di una manifestazione e l’unica cosa che vorresti è una macchina fotografica. –
In questi due mesi ho osservato distrattamente la maggior parte delle immagini che si palesavano sul mio display, per selezionare solo alcune esperienze con cui instaurare un rapporto di prossimità. Arturo Delle Donne, direi poco più di un mese fa, ha iniziato ad inviarmi degli whatsapp con alcune prove, degli esercizi. Immagini di spazi (casalinghi): approcci fotografici che risentivano della sua esperienza nel campo della moda, del cinema, di quella fotografia costruita che non lascia nulla al caso. Abbiamo iniziato a parlare, io guardavo e buttavo giù qualche idea, lui contraccambiava con altre immagini. Naturalmente non ho nessun merito, solo quello di essermi concentrato su poche fotografie e avere escluso l’emorragia iconografica che zampillava tutt’intorno. E non credo neanche di poter dire molto su questo progetto, non credo di riuscire a dire molto su qualunque cosa riguardi gli ultimi due mesi che ho vissuto. L’unico consiglio è quello di cercare citazioni nascoste dentro le immagini: come ogni abitazione e ogni famiglia anche quella di Arturo produce (protegge) significati che nella traduzione fotografica si rivelano in simboli, da unire e attraverso cui ricostruire una narrazione. Il suo, fortunatamente, non è un diario: a chi interessa sapere che cosa fai confinato nella tua abitazione, che cosa mangi, che cosa leggi, che cosa ascolti? Infausti pettegolezzi da condominio e da social. Arturo rimane fotografo di moda, fotografo di scena, rimane professionista e mette in scena. Ed è la messa in scena che ci preserva dall’insano desiderio di spiare qualcosa che non dovremmo vedere. Arturo delle Donne fa il suo lavoro e lo fa bene con i mezzi che adesso ha sotto mano. Le citazioni sono la conseguenza della sintesi, della selezione di oggetti, atteggiamenti, di una ricostruzione non emozionale, ma culturale.