Unione Nazionale Consumatori: la classifica delle città più care d’Italia del 2020

Le città con più rincari: Caltanissetta per il cibo (+4,2%), Cosenza per visite mediche (+5,1%), Messina per assistenza sociale (+4,6%), Palermo per tariffe amministrative (+18,6%). I ribassi maggiori: Venezia per alberghi (-10,4%), Livorno per assistenza sociale (-5,4%), Genova per acqua e rifiuti (-12%)

L’Unione Nazionale Consumatori ha condotto uno studio stilando la classifica completa delle città con i maggiori rincari o ribassi del 2020 per i principali beni e servizi, sulla base dell’inflazione media rilevata dall’Istat.

A fronte di un Paese in deflazione, -0,2%, alcune città registrano aumenti considerevoli su alcuni gruppi di prodotti, con notevoli disparità territoriali.

Il capoluogo che nel 2020 ha il maggiore rialzo per quanto riguarda i prodotti alimentari (tabella n. 1) è Caltanissetta con un’inflazione pari a +4,2%, al secondo posto Trieste, Grosseto e Trapani (tutte a +3,1%), poi Perugia con +2,9%. Dall’altra parte della classifica Parma, unica città in deflazione, -0,1%, poi Siena con +0,1% e al terzo posto Macerata, +0,3%. La media italiana è +1,5%, pari ad un incremento della spesa alimentare, senza bevande, di 77 euro per una famiglia tipo. Tra le grandi metropoli si segnala Genova, in 7° posizione con +2,6% e, sull’altro fronte, Milano, 4° tra le migliori con +0,5%, un terzo del dato italiano.

 

Per i servizi ambulatoriali (Tabella n. 2), ossia visite mediche specialistiche, servizi dentistici e paramedici, come la fisioterapia, la città peggiore d’Italia è Cosenza, +5,1%, poi Trapani, +4,6%, al terzo posto Vicenza, +2,8%. Le migliori Lodi (-0,2%), Cagliari, Ferrara e Aosta (-0,1% per tutte). Terze, con una variazione nulla, tra le altre, Milano e Napoli. La media italiana è +0,9%. Tra le cattive, Genova, 5° con +2,2% e Bari e Bolzano, ottave con +2%.

 

La scuola dell’infanzia e istruzione primaria (Tabella n. 3) è una batosta per chi abita a Forlì-Cesena (+6,3%), Bolzano (+6,1%), Cosenza e Catanzaro (entrambe +5,4%). Risparmi, invece, anche se contenuti, per chi abita a Trieste (-1,6%), Lecco (-1,3%) e Ancona (-1%). In Italia la media è +1,4%.

 

Limitati, causa Covid, i rincari dei servizi di ristorazione (Tabella n. 4), ossia ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, prodotti di gastronomia e rosticceria. Al primo posto Grosseto (+3,7%), al 2° Pordenone (+3,3%), al 3° Trapani (+3,1%). Inaspettatamente, però, in deflazione ci sono solo Bergamo (-0,7%) e La Spezia (-0,2%). Evidentemente, quando i ristoratori hanno potuto riaprire, non hanno abbassato i prezzi che in media nazionale segnano anzi un +1,2%, incidendo sul bilancio di una famiglia per 16,50 euro, chiusure a parte.

 

Le cose vanno ancora decisamente diversamente per i servizi di alloggio (Tabella n. 5), ossia alberghi, pensioni, bed and breakfast e villaggi vacanze. Per via del lockdown e del crollo della domanda turistica, ben 42 città su 68 sono in deflazione. Il record per Venezia, dove i listini degli alberghi precipitano nel 2020 del 10,4%, al secondo posto Trapani, -8,5%, al terzo un’altra città turistica per eccellenza, Firenze con -7,6%. Sul fronte opposto salgono a Cosenza (+4,2%), Terni (+3,6%) e al 3° posto Napoli (+3,1%). In Italia scendono dell’1,6%. Tra le città virtuose, Bologna (4° con -6%), Verona e Lucca (seste con -5,6%), Roma (11° con -4,3%), Rimini (12° con -3,9), Milano (13° con -3,8%) e Siena (15° con -3%).

 

Preoccupanti, vista l’emergenza sanitaria, i rialzi dell’assistenza sociale (Tabella n. 6) che comprende case di cura per anziani, nidi d’infanzia e servizi di assistenza a domicilio. Le città peggiori sono Messina (+4,6%), Pescara (+4,5%) e Vicenza (+4,1%), le più brave Livorno (-5,4%), Pordenone (-3,8%) e Cosenza (-2,1%). Italia: +0,6%. Male Cagliari (7°, +2,4%), Venezia (8°, +2,3%), Torino (9°, +2%) e Napoli (10°, +1,8%).

 

Per quanto riguarda la fornitura acqua e servizi vari connessi all’abitazione (Tabella n. 7), ossia fornitura acqua, raccolta rifiuti e spese condominiali, una vera e propria stangata per chi abita a Gorizia (+6% rispetto al 2019), Palermo (+5,6%) e, al terzo posto, Napoli (+5,1%). La città più risparmiosa è Genova, -12%, poi al secondo posto Trapani, -6,8%, e sul gradino più basso del podio Potenza, -6,4%. Tra Gorizia e Genova il divario è pari a ben 18 punti percentuali. In Italia questa voce segna un incremento dello 0,5%. Tra i capoluoghi di regione si evidenzia la pessima performance di Cagliari, 5° con +4,4%, e Milano, 6° con +4,2%. Bene Bari, 12° tra le città in contrazione con -1,4% e Roma, 13° con -1,3%.

 

Infine, i rincari più elevati, addirittura a due cifre, per Altri servizi n.a.c. (Tabella n. 8) che comprende tariffe amministrative, servizi legali e servizi funebri. A Palermo un rialzo da primato, pari al 18,6%, al secondo posto Livorno con +13,4% e al 3° Genova, +11,4%. Al primo posto per i ribassi Lecco, -2%, seguita da Brescia, -1,8% e Reggio Emilia, -1,1%. In Italia +1,4%.

 

“L’Italia non è tutta uguale. Queste differenze sono dovute a tanti fattori che cambiano a seconda delle città e del tipo di bene e servizio. La deflazione più alta in alcune città d’arte, ad esempio, dipende certo dal crollo dei turisti, in altri casi dalla maggiore flessione della domanda registrata in alcuni territori più colpiti dalla recessione. I rialzi più rilevanti, invece, sono spesso dipesi dai diversi effetti che il lockdown e la ridotta mobilità dei consumatori ha prodotto in quel territorio per via della minore concorrenza. Laddove le famiglie avevano scarse possibilità di scelta, i prezzi sono saliti in modo più marcato. Quando invece, pur non potendo uscire dalla città, avevano a disposizione alternative, potendo scegliere tra più forme distributive, ipermercati, supermercati, discount, negozi di vicinato, mercati, i rincari sono stati più contenuti e le speculazioni non sono state possibili. In rari momenti e in poche zone ci sono state anche corse agli acquisti, ma con conseguenze temporanee. In alcuni casi gli aumenti dipendono da scelte scellerate del Comune, come per acqua e rifiuti, in altri dalla diversa scelta fatta da commercianti ed esercenti di trasferire o meno sui consumatori finali i maggiori costi legati al Covid” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.