Del 1948 a me rimangono solo “lampi” di lontana memori che mi riportano al tempo dell’asilo in un paesino alle falde dell’Etna fra Mascalucia e Belpasso, dove mio padre, carabiniere, prestava l’ultimo servizio prima della pensione. Ho pochi ricordi ma precisi: “la sciara [che] si stendeva malinconica e desolata, fin dove arrivava la vista” – sono parole tratte dal “Rosso Malpelo” di Verga –, in quegli anni ancora disseminata di residuati bellici, resti dei furiosi combattimenti (luglio-agosto 1943) di Tedeschi e Italiani contro gli Alleati, bombe e proiettili con la punta rossa abbandonati negli anfratti che io guardavo da lontano con istintiva paura come fossero serpenti velenosi; il dolore per la morte di un compagno di giochi e le lacrime che la maestra mi asciugava col suo fazzoletto;
una festa tra bambini dove mi avevano assegnato la parte cantata “io son l’autunno triste, io fo cader le foglie…”; il mulo e il carretto dei Navarrìa, carico all’inverosimile di masserizie, tavole da letto, trespoli, sedie, quando traslocarono dal paese; le canzoni che udivo nella notte e le invocazioni nella festa del Patrono, Sant’Antonio Abate: “ddivoti tutti…Viva Sant’Antò!”; la neve in inverno e il bubbolio dei tuoni sotterranei del vulcano…
Il “18 di Aprile” si contendevano il campo tre protagonisti: la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano e l’“Uomo Qualunque”; lo sentivo dire dai grandi e cercavo di immaginare soprattutto chi e come fosse quest’“uomo qualunque”. Sul balcone della canonica avevano piazzato un altoparlante a tromba che, certo, sparava a zero slogans anticomunisti che si sentivano in tutto il paese; mia mamma con voce lirica, insieme ad altre signore di chiesa, cantava l’inno della Democrazia Cristiana “Udimmo una voce corremmo all’appello, avanti la Croce del Re d’Israello…[…] O bianco fiore, simbolo d’amore…”, il motivo era un embaterio che via via assumeva tono di marcia trionfale. Seppi dopo, da grande, che lo “Scudo Crociato” aveva stravinto, stracciando il “Fronte Popolare” socialcomunista di Nenni e Togliatti.
Era accaduto che il Partito “italo-sovietico”, non avendo potuto prendere il potere con la forza nel 1945 per la presenza delle truppe di occupazione Anglo- Americane, nonostante a tal fine avesse scatenato a freddo coi GAP (“Gruppi di Azione Partigiana” o “Patriottica”) la “guerra civile” (1943-45), sperava di poterlo fare ora con le elezioni e, anzi, per il 18 Aprile si diceva sicuro della vittoria. I comunisti, ad ogni buon conto, avevano conservato in cantina e oleato le armi. Ma persero la partita in modo rovinoso e la vittoria “crociata” fu tanto completa che allora si parlò di vera e propria “Liberazione”. Era avvenuto un miracolo: l’“insorgenza” del Popolo Italiano allora ancora cattolico che, a stragrande maggioranza, aveva votato la Democrazia Cristiana, 49% contro il 31% degli avversari. In quei giorni si raccontò perfino che Togliatti avesse acquistato un paio di scarponi chiodati con che si diceva sicuro di prendere a pedate De Gasperi, a vittoria ottenuta: era una favola, naturalmente.
La realtà fu, invece, la mobilitazione compatta e capillare del mondo cattolico propiziata dal grande Papa Pio XII, per questo poi calunniato, e organizzata in tre mesi dai “Comitati Civici” di Luigi Gedda: si distinsero le donne di Azione Cattolica che andarono in tutte le case e batterono le campagne, allora abitate, dei nostri paesi per convincere più gente possibile a votare per la “Croce”.
La Democrazia Cristiana, però, non ricordò e, meno ancora, celebrò mai questa storica data di vittoria sul Fronte social- comunista. Anzi, si dice pure che il suo gruppo “intellettuale” con sede a Bologna, ne avrebbe preferito una più contenuta perché quella così travolgente ostacolava l’avvicinamento ai comunisti a cui aspirava da anni! E la deriva democristiana a sinistra cominciò subito, già l’indomani del 18 Aprile con un lavorio sotterraneo ma assiduo, spesso usando la classica strategia dei “tre passi avanti e uno o due indietro”, con dichiarazioni solenni anticomuniste alla vigilia di elezioni e accordi col Partito di Togliatti subito dopo non solo del gruppo della “Scuola di Bologna” ma, a poco a poco, di buona parte della classe dirigente democristiana, fino al “compromesso culturale”, prima, e al “compromesso storico”, poi, degli anni Settanta col “governo rosso” Andreotti-Berlinguer. Ma la “vocazione a sinistra” della DC non deve, comunque, stupire se è vero che perfino il grande De Gasperi aveva affermato che “la DC [è un] partito di centro inclinato a sinistra [che] ricava la metà della sua forza elettorale da una massa di destra” (Discorso al III Congresso Nazionale della DC a Venezia, 2-3 giugno 1949, in “Famiglia Cristiana”, 3 giugno 1973) e, prima ancora, “Noi ci siamo definiti un Partito di centro che si muove verso sinistra” (Intervento al Consiglio Nazionale della DC del 31 luglio/3 agosto 1945). Se poi si legge la storia del Partito che per oltre mezzo secolo ha raccolto i voti della più parte dei “cattolici”, si vede che il suo “sinistrismo affiora qua e là ed emerge nelle affermazioni di personaggi importanti democristiani. Così negli anni “eroici” del “1968”, da me vissuti pienamente e “sulle barricate” dell’università, potei leggere la seguente definizione conclusiva: la DC è un “dispositivo ideologico e politico specificamente fatto per trascinare verso l’estrema sinistra uomini di destra e, soprattutto, centristi ingenui” (Plinio Correa de Oliveira, Prefazione a Fabio Vidigal Xaveir da Silveira, “Frei il Kerenski cileno”, Edizioni Cristianità, Piacenza 1973).
E tuttavia mi sembravano ancora affermazioni esagerate di pensatori latino- americani che la cultura europea chiamava con disprezzo “reazionari”, fino a quando non lessi questa “confessione” di Francesco Cossiga, il “picconatore”: “La Dc ha meriti storici grandissimi nell’aver saputo rinunciare alla sua specificità ideologica: le leggi sul divorzio e sull’aborto sono state firmate da Capi di Stato e da ministri democristiani che giustamente in quel momento hanno privilegiato l’unità politica a favore della democrazia, della libertà e dell’indipendenza, per esercitare una grande funzione nazionale di raccolta dei cittadini” (“Il Popolo”, 24- I-1992).
La “confessione” di Cossiga è molto interessante perché ci spiega, tra le tante altre cose, come e quanta strada aveva fatto la dirigenza democristiana via via sempre più lontana non da una vaga e indefinita “sua specificità ideologica” ma dalla Dottrina Sociale della Chiesa a cui, invece, si era ispirata nell’ormai lontano “18 Aprile” di 44 anni prima! Attenzione. Se nomino la “dottrina” della Chiesa, è perché essa – la Democrazia – amava ancora chiamarsi “cristiana”! Almeno il “vecchio” Partito Popolare di don Sturzo non si disse mai “cristiano” e neanche “cattolico”, anzi era “nato come partito non cattolico, aconfessionale […] che non prendeva la religione come elemento di differenziazione politica” (Luigi Sturzo, discorso tenuto a Verona il 13-III-1919), mentre la Democrazia Cristiana col preciso aggettivo “cristiana” si impegnava a osservare la Dottrina della Chiesa! Per pesare bene l’uso che essa fece del nome “cristiano” si esamini – fra molti esempi – l’iter parlamentare che portò alla “legge” sull’aborto a cui fa preciso riferimento l’ex Presidente della Repubblica. A un certo punto ci fu un passaggio importante che avrebbe potuto fermarne l’approvazione quando la DC, il 26-2-1976, si rifiutò di votare la “eccezione di incostituzionalità” che avrebbe sicuramente bloccato la “legge” perché in quel momento il fronte antiabortista (DC, MSI e il Partito del Sud Tirolo) in Parlamento aveva la maggioranza assoluta; ma la DC si rifiutò di votare la “eccezione” perché questa era stata presentata dal Movimento Sociale Italiano, partito bollato come “neofascista”: ancora una volta su questioni così importanti pesava il “fascismo” finito 31 anni prima! Concludo con un’altra confessione-dichiarazione dell’on. Ciriaco De Mita; è del 1999, quindi più recente: “Quando gli storici si occuperanno di fatti e non solo di propaganda, spiegheranno che il grande merito della DC è stato quello di aver educato un elettorato che era naturalmente su posizioni conservatrici se non reazionarie a concorrere alla crescita della democrazia. La DC prendeva i voti da destra e li trasferiva sul piano politico a sinistra” (intervista rilasciata al “Corriere della Sera”, 23-VIII-1999). Se, poi, per “Sinistra” si intendono i post- comunisti trasformatisi in “partito radicale di massa”, proteso verso tutte le future possibili “conquiste moderne” che vediamo prefigurate nelle “unioni civili” o “matrimoni” fra gay, compra- vendita di bambini o utero in affitto o compra-vendita del corpo di povere donne, gender insinuato già nelle scuole elementari e all’insaputa di genitori e nonni…, allora il quadro può dirsi completo: la Dc ha concluso il suo corso iniziato dal gruppetto “bolognese” l’indomani del “18 Aprile 1948”. A questo punto è ozioso chiedersi perché il Partito “cristiano” non volle mai ricordare e, meno che meno, celebrare la “Liberazione” del 18 Aprile 1948: a furia di “dialogare” coi comunisti né ha accettato le idee e, anzi, si è trasferito armi e bagagli nel Partito Democratico, “suicitandosi”, secondo l’antica “profezia” di Gramsci che così scriveva nel 1919: “I popolari [partito di don Sturzo, antenato della Democrazia Cristiana] rappresentano una fase necessaria di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo. Il cattolicismo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe. Amalgama, ordina, vivifica e si suicida. Diventati società, acquistata coscienza reale, questi individui non vorranno più pastori per autorità, ma comprenderanno di muoversi per impulso proprio: diventeranno uomini nel senso moderno della parola, uomini che attingono nella propria coscienza i principi della propria azione, uomini che spezzano gli idoli, che decapitano dio (sic)”. E concludeva: “La costituzione del Partito Popolare equivale per importanza alla Riforma germanica [Riforma protestante di Lutero], è l’esplosione inconscia, irresistibile della Riforma italiana”(“I popolari” in “L’Ordine Nuovo”, anno I, n. 24, 1-XI-1919).
Mi scuso coi miei “cinque” benevoli amici lettori per le lunghe e magari un po’ noiose citazioni; esse però, talvolta, sono necessarie per comprendere meglio le cose della Storia!
CARMELO BONVEGNA