di ANDREA FILLORAMO
Nei miei numerosi articoli pubblicati in IMG Press, ho sempre preso spunto dalla corrispondenza che è tanta (sms o email) di preti e laici per fare delle considerazioni o per rispondere a quesiti concernenti la vita della Chiesa e anche di quella locale e ho ritenuto questo un servizio che ho sempre prestato con disponibilità e onestà intellettuale senza esimermi di trattare argomenti delicatissimi dei comportamenti dei preti come quelli concernenti gli abusi sessuali o la sessualità in genere.
Ho voluto però, per distinguermi da quanti trattano questi problemi in modo scandalistico, tacere di alcuni casi di pedofilia dei preti segnalatimi, la cui veridicità, oltretutto, non ho verificato o, se in buona parte l’ho fatto, ho preferito coprirli non solo col manto della privacy ma anche con quello della necessaria discrezione.
Ho a lungo pensato oltretutto che le calunnie e le maldicenze, che fanno riferimento all’esercizio della sessualità del clero, sono frequenti ed è bene forse, quindi, osservare, in alcuni casi, il silenzio.
Ho ritenuto però che se la pedofilia – com’è vero – avviene frequentemente all’interno delle famiglie, nelle istituzioni educative è molto spesso soggetta alla rimozione, cioè a quel fenomeno che nella psicanalisi è inteso come il meccanismo psichico che allontana dalla coscienza desideri, pensieri, considerati inaccettabili e la cui presenza provoca vergogna.
Quello che accade negli scandali di pedofilia all’interno della Chiesa – è bene dirlo – non è diverso da ciò che accade nelle famiglie. In parole povere sia la famiglia, sia la Chiesa, facilmente rimuovono, giacchè con difficoltà guardano il mostro che abita dentro le proprie mura, con difficoltà lo individuano e difficilmente intervengono.
Sia la famiglia, sia in una diocesi i vescovi, per timore di perdere un proprio membro, spesso diventano titubanti, incerti: si fermano in attesa e nella speranza che i soggetti in questione mostrino il loro volto.
Ma proprio qui sta il problema difficile della pedofilia. È impossibile guardare il mostro in faccia, se non vi si trova costretto. Un pedofilo non lo riconoscerà mai di esserlo.
Ciò non è avvenuto in Svizzera, dove i vescovi, che hanno sottolineato la loro volontà di fare piena luce sul passato, hanno incoraggiato coloro che hanno subito abusi “ad annunciarsi presso i centri di consultazione per le vittime e i corrispondenti centri diocesani ed a sporgere eventuale denuncia”.
Per quanto concerne coloro che si sono resi colpevoli di abusi, i vescovi li invitano “ad assumere le loro colpe dinanzi a Dio e agli uomini, presentandosi al loro responsabile”.
La medesima cosa non è avvenuta in Francia, dove sono state indette delle confessioni pubbliche per chiedere perdono per il male commesso nei confronti dei piccoli da parte dei suoi membri. Non si tratta di una moda del momento, è ben di più.
In Italia? Nel nostro Paese, dove risulta che ci sono abusi sessuali nei confronti dei minori, consumati all’interno delle strutture ecclesiastiche, nelle parrocchie, nei seminari, dove sacerdoti o frati vengono indagati o arrestati per avere compiuti abusi sessuali nei confronti di bambini e anche di adulti: proprio nulla.
L’Italia, che è tra i primi paesi cattolici al mondo, non si è fatto nulla nonostante Papa Francesco sia intervenuto più volte sull’ argomento per tentare di eliminare questa piaga che sporca la Chiesa.
Nel suo ultimo intervento sull’ argomento, il 4 novembre scorso a Bologna, Papa Francesco ha infatti affermato che il “cammino di conversione personale e comunitaria” rispetto alla piaga degli abusi sessuali sui minori è “un cammino che come Chiesa siamo chiamati a compiere tutti insieme, sollecitati dal dolore e dalla vergogna per non essere stati sempre buoni custodi proteggendo i minori che ci venivano affidati nelle nostre attività educative e sociali”.
Alcune diocesi, in Italia, si sono già date delle procedure per affrontare i casi di scandali di natura sessuale e i casi di pedofilia in particolare. È un segno di responsabilità non da poco.
Forse potrebbe essere utile rendere accessibili a tutti i centri a cui rivolgersi perché questo sarebbe sia un segno di trasparenza, sia uno stimolo che permette di far conoscere una prassi che non è mai perfetta e chiede continue precisazioni.