Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: a peste, fame et bello libera nos Domine

di ANDREA FILLORAMO

È cosa certa: la guerra in Ucraina, scatenata da Putin che stiamo vivendo quasi in diretta attraverso la televisione, non è solo visione di morte, bombardamenti, distruzioni, fughe disperate di vecchi, donne e bambini, che avvengono in una certa parte dell’Europa, ma è un’idea  che si è fatta strada dentro la nostra mente che stravolge la vita, che, cioè,  la guerra l’abbiamo quasi in casa. Ecco, quindi, la paura che per alcuni diventa panico che si diffonde sempre di più.  

Da tenere presente che una delle parti coinvolte nel conflitto, l’Ucraina, differentemente dalle altre nazioni in guerra che sono in Africa, nel Sud America o nel Medio Oriente, geograficamente e fisicamente è vicina a noi e la sua gente ha i nostri stessi tratti somatici.

Ciò ci dà la percezione di un coinvolgimento nel conflitto; temiamo, quindi, un possibile, tragico, destino comune: non succedeva ciò dalla Seconda Guerra Mondiale.

Come diretta conseguenza, sentiamo la necessità e il bisogno di informarci frequentemente, partecipare attivamente al dibattito, contribuire a offrire il nostro supporto.

Da osservare che il peso psicologico del conflitto, quando questo lo si vive da vicino ma non tocca concretamente il suolo del proprio Paese, è condensato, appunto, nell’informazione e nel sovraccarico cognitivo, ossia nel fenomeno per il quale si riceve o ricerca una quantità eccessiva di informazioni, che fa perdere la lucidità necessaria per analizzare la situazione, prendere una decisione o scegliere dove focalizzare l’attenzione.

All’interno di un mondo digitale come quello in cui viviamo, il rischio è, pertanto, dietro l’angolo, tanto che negli ultimi anni si è imparato a utilizzare il termine “infodemia”, ossia l’eccessiva presenza di informazioni che rende difficile alle persone trovare fonti affidabili e indicazioni attendibili.

Sono molte, infatti, le persone che trascorrono una considerevole quantità di tempo nel cercare e leggere notizie, con la speranza, la maggior parte delle volte, di placare l’ansia dettata dall’incertezza del momento, con la conseguenza, però, che quell’ansia che si tenta di arginare informandosi, finisce per alimentarsi. Si crea così un circolo vizioso che incentiva la ricerca compulsiva e mina il benessere mentale.

Questa guerra sta, oltretutto, minando la nostra idea di Occidente, che è un concetto o una categoria storica, piuttosto che geografica e fissa, che indica progresso, inteso, anche, come sinonimo di intelligenza.  La guerra appartiene, secondo tale convinzione comune, a popoli non occidentali, arretrati culturalmente, lontani e, quindi, non può appartenere a noi

La guerra ucraina richiama oltretutto la minaccia nucleare, che si sta insinuando sotto la pelle di diverse persone. Il nucleare ci accomuna al popolo ucraino perché un’esplosione non rimarrebbe confinata geograficamente: le conseguenze sarebbero senz’altro dirette, ma anche indirette. Le radiazioni viaggiano per chilometri e i loro effetti possono manifestarsi anche dopo anni.

Dopo aver vissuto l’esperienza della pandemia, adesso con la guerra in Ucraina s’abbatte in tutto il mondo una crisi economica spaventosa e forse nelle nostre chiese ritornerà la preghiera che si recitava nel Seicento quando si diceva: “a peste, fame et bello libera nos Domine”.