di ANDREA FILLORAMO
Ben cinquantadue anni sono trascorsi da quando, nei vortici del cattolicesimo del dissenso, è nato nella Chiesa Cattolica un Movimento, che scelse come nome “7 novembre 1971” che, appellandosi alle idee e al Concilio Vaticano Secondo, voleva il rinnovamento della Chiesa, che avrebbe dovuto liberarla dalle sue modalità “sacrali, burocratiche e di potere mondano” che – diciamolo chiaramente -non si è mai realizzato.
Tanti possono essere i motivi del mancato rinnovamento.
Fra questi quelli imputabili al lungo pontificato di Giovanni Paolo Secondo, che se da un lato ha posto al centro il Concilio Vaticano II, dall’altro l’ha interpretato in maniera eccessivamente moderata.
Se da un lato, ancora, respinse chi vedeva il Concilio come un errore, dall’altro non accettava i tentativi di lettura che dal suo punto di vista erano progressisti.
Da tenere presente che la sua esperienza maturata come presbitero e vescovo polacco lo spingeva a contrastare qualsiasi forma di dialogo che potesse essere sospettato di cedimenti verso posizioni ritenute allora anche se non erano comuniste.
Sul piano del dibattito interno dopo il travaglio degli anni ’70, provvide a serrare i ranghi e a rafforzare la disciplina interna, sotto una guida autorevole che in qualche caso si rivelava, però, anche autoritaria e forse anche dispotica.
Il coinvolgimento degli episcopati veniva riletto come una loro subordinazione alle linee guida dettate dal romano pontefice, che li consultava ma poi decideva da solo.
Su tutto questo ci sarebbe molto da discutere e da approfondire, come molto di più ci sarebbe da discutere sul pontificato di Benedetto XVI, che ha pagato lo scotto della sua impossibilità o della sua incapacità nel progredire nella strada del cambiamento che l’ha indotto o costretto alle sue dimissioni.
Offro alla lettura il programma del Movimento 7 novembre 1971 che è tutto nel Manifesto dei 33 teologi Documento N° 1, cioè nel “Manifesto contro la rassegnazione della Chiesa”, per far notare come poco o nulla è cambiato nella Chiesa anche se è trascorso da allora mezzo secolo.
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“La Chiesa cattolica attraversa una crisi complessa d’autorità e di fiducia. A sei anni dalla fine del Concilio Vaticano II, il terzo Sinodo dei vescovi si è concluso senza risultati tangibili. Il governo della Chiesa, che all’epoca del concilio aveva affrontato problemi antichi e nuovi avviandoli a soluzione in misura straordinaria, in questo periodo post-conciliare sembra incapace di ottenere dei risultati costruttivi in settori così importanti e urgenti quali la giustizia e la pace nel mondo, la crisi del ministero ecclesiastico. La legge del celibato, di per sè marginale, è cosi indebitamente diventata un test del rinnovamento ecclesiale. Ma, mentre le autorità ecclesiastiche ufficiali, di fronte alle difficoltà di vario genere, si accontentano di fare deplorazioni, di lanciare ammonimenti e di stabilire sanzioni arbitrarie, un numero sempre maggiore di sacerdoti abbandona proprio ministero mentre gli aspiranti al sacerdozio diminuiscono quantitativamente e qualitativamente. La confusione di molti membri della Chiesa è profonda e molti tra i migliori pastori d’anime hanno l’impressione di essere stati lasciati soli nelle loro preoccupazioni cruciali dai loro vescovi e spesso anche dai teologi. E’ vero che singoli vescovi e alcuni episcopati si sono seriamente assunti le preoccupazioni delle loro chiese, ma la maggioranza delle conferenze episcopali ha preso decisioni in modo costruttivo solo su questioni secondarie, deludendo molte speranze del loro clero e dei loro fedeli. In tal modo la credibilità della Chiesa cattolica, che forse negli ultimi cinque secoli non era mai stata tanto alta come all’inizio del pontificato di Paolo VI, è scesa in maniera inquietante. Sono molti coloro che soffrono a causa della Chiesa; lo spirito di rassegnazione si diffonde. Per trovare – sia pure in generale – le cause fondamentali di questa crisi d’autorità e di fiducia, non bisogna solo rivolgersi a determinate persone o autorità, e tanto meno accusarle di cattiva volontà. La colpa è piuttosto del sistema ecclesiastico stesso che nel suo sviluppo è molto in ritardo sui tempi e che dimostra ancora in molti aspetti i caratteri dell’assolutismo principesco. Il papa e i vescovi sono ancora di fatto i signori assoluti della Chiesa e concentrano nelle loro mani il potere legislativo, esecutivo e giudiziario; nessun controllo efficace, in molti casi, limita l’esercizio di questi poteri, nonostante l’istituzione di organismi intermedi. I loro successori vengono scelti secondo i criteri della conformità. Le lagnanze più diffuse nei vari settori della Chiesa sono le seguenti: la procedura segreta impiegata nella nomina dei vescovi, senza chiedere la collaborazione del clero e dei fedeli interessati; la mancanza di chiarezza del processi decisionali; il costante appellarsi all’autorità propria e al dovere della ubbidienza degli altri; la carenza di motivazioni delle pretese e delle disposizioni; il carattere monocratico delle cariche, alieno da una vera collegialità; il paternalismo nei riguardi dei laici e del basso clero, che non hanno nessuna possibilità di appello efficace contro le decisioni delle autorità; si vuole la libertà della Chiesa all’esterno, ma non la si concede all’interno; si predica la giustizia e la pace là dove non costano nulla alla Chiesa e alla sua gente