di Andrea Filloramo
Il Sinodo, voluto da Papa Francesco, si conclude con un documento votato dall’assemblea, in cui pesano molto le assenze dei temi spinosi come, per esempio, la questione Lgbt+, il diaconato femminile, l’abolizione del celibato sacerdotale e altri temi, espunti dal dibattito all’inizio dei lavori per evitare scontri e ulteriori spaccature tra conservatori e progressisti.
Papa Francesco forse non si aspettava tanta rigidità (che ha definito un «peccato»), per cui, deluso, anzi amareggiato, ha commentato dicendo: «Non abbiamo bisogno di una Chiesa seduta e rinunciataria, ma di una Chiesa che raccoglie il grido del mondo e si sporca le mani per servirlo»
Col documento sinodale si è riaffermato, quindi, che il cambiamento nella Chiesa Cattolica, fa ancora tanta paura, in quanto implica una ridefinizione, un rischio, un impegno, una fatica a uscire dalle comfort-zone che essa vorrebbe garantire.
Tutti quelli che hanno responsabilità nella Chiesa dicono a parole, ovverossia “predicano” che il cambiamento sia necessario, temono tuttavia di perdere i privilegi che essa ha loro generosamente concesso.
Intanto, in quella che si professa “ una, sancta, apostolica ecclesia”, nulla sembra muoversi; tutto, a parere di molti, è stagnante, paludoso, incagliato.
Ritorna ancora, perciò, l’accorata domanda fatta tanti anni addietro, dal Cardinale Carlo Maria Martini, quando provocatoriamente ha chiesto: “la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?”.
Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose, della quale è stato priore sino al gennaio 2017, già molto tempo fa aveva scritto: “Con il Concilio Vaticano II si è arrivati a una riforma della Chiesa per portare il Vangelo nel mondo, poi però ci si è ripiegati molto sulle stesse attività della Chiesa, che si è posta sempre come domina della storia, ha creduto che tutto dipendesse da lei stessa, dimenticando la scelta di spoliazione che persino Cristo ha compiuto dal suo status di figlio di Dio. Ecco, piuttosto di avere la pretese di dover e poter dire tutto su tutti e tutto, di essere maestra e guidare gli uomini, la Chiesa dovrebbe tornare a spogliarsi e a camminare accanto agli uomini, con compassione e umiltà, per offrire a tutti la grande speranza della resurrezione”
.Papa Francesco, contrariato , ha chiuso il Sinodo e ha chiesto di pazientare quando ha affermato: «Su alcuni aspetti c’è bisogno di tempo».
Intanto, in attesa di quel tempo che è “sine die”, molti continuano ad allontanarsi dalla pratica religiosa, aumenta il progressivo passaggio dalla sfera religiosa a quella dell’indifferenza, l’adesione alquanto vaga per contenuti e motivazioni alla «etichetta cattolica» si è trasforma in una specie di ponte che porta verso posizioni di indifferenza.
Spesso, però, l’abbandono della pratica e della comunità cristiana non significa necessariamente distacco dalla fede, così come l’essere rimasti non esprime adesione a tutto ciò che la Chiesa pensa e propone.
Negli uni e negli altri vi è una ricerca quasi sempre inquieta e sofferta, tipica dell’uomo moderno, di una fede che esprime anche l’aspirazione a una vita bella e buona, che magari si allontana dal cieco paradigma clericale, di una spiritualità che ha le proprie radici nella profondità della coscienza, di cui la Chiesa, se vuole essere cristiana, deve necessariamente, prima o dopo, tenere conto.