"Il nome di Renato Dulbecco, il premio Nobel per la medicina scomparso ieri all’età di 97 anni (ne avrebbe compiuti 98 domani), era noto al grande pubblico per due motivi apparentemente slegati dalla ricerca che gli aveva fatto vincere nel 1975 l’ambi’to riconoscimento: l’apparizione al Festival di Sanremo del ’99, e la sponsorizzazione del referendum del 2005". Il racconto REPUBBLICA. "A Sanremo Dulbecco non c’era andato come cantante, ovviamente. Anche se di musica un po’ se ne intendeva, avendo addirittura suonato il bongo insieme al mitico Richard Feynman, amico e collega di università e di Nobel. Non c’era andato neppure, forse meno ovviamente, come opinionista. Anche se, viste le sue conoscenze, di opinioni sensate ne avrebbe potute dare molte più di tanti altri. C’era andato, invece, come testimonial di una giusta causa: quella del Telethon, per la raccolta di fondi per la ricerca sulla distrofia muscolare in particolare, e sulle malattie genetiche in generale. Una causa che continuò a difendere fino alla fine, come presidente onorario della commissione per l’assegnazione dei fondi raccolti. Nel referendum del 2005, invece, Dulbecco era sceso in campo insieme all’altro storico premio Nobel per la medicina, Rita Levi Montalcini. Un’amica per la vita, con la quale aveva diviso l’ufficio a Torino dopo la guerra, e fatto il viaggio per l’America su uno stesso vapore polacco, di nome Sovietsky. I due erano andati a lavorare in universita’ non lontane, a Bloomington lui e Saint Louis lei, ed erano sempre rimasti in contatto e uniti anche in seguito. Anzi, si diceva che Dulbecco fosse stato segretamente innamorato della Montalcini: lei stessa confermo’ l’esistenza della diceria, smentendone la veridicita’, in un’intervista che le feci qualche anno fa. Le voci di Dulbecco e della Montalcini si unirono pubblicamente un’ultima volta nella primavera del 2005, appunto, per invitare gli italiani ad andare a votare a favore dell’abrogazione di alcuni articoli della Legge 40 sulla procreazione assistita. Quella legge, promulgata dal secondo governo Berlusconi, era il prodotto di una visione antiscientifica delle biotecnologie. Purtroppo il loro sforzo, quello di due premi Nobel, fu inutile. Ma la loro battaglia resta un simbolo: contro il proibizionismo scientifico e il rischio che politica ed ideologia condizionino ricerche e scoperte. Un’altra battaglia, forse meno nota, ma non meno importante e di civilta’, Dulbecco la intraprese il giorno stesso dell’annuncio della sua vittoria al Nobel. Lui non aveva mai fumato, ma era in contatto con il gruppo di Richard Peto, che aveva dimostrato che il tabacco produce il cancro al polmone. L’occasione dell’assegnazione di un premio Nobel per le ricerche sul cancro non poteva essere sprecata, e la conferenza stampa si tramuto’ in uno spot di "pubblicita’ progresso" contro le sigarette. Molti anni dopo, gli chiesi come mai negli Stati Uniti, mentre c’e’ il proibizionismo contro le droghe, anche leggere, il commercio del tabacco rimane libero. E lui rispose, candidamente: ‘Il tabacco lo producono gli Stati Uniti, le droghe no’. Prima di emigrare negli Stati Uniti e iniziare la sua carriera all’estero, Dulbecco aveva studiato a Torino alla scuola di Giuseppe Levi. Una scuola che produsse ben tre premi Nobel: oltre a Dulbecco, nel 1975, e alla Montalcini, nel 1986, anche Salvador Luria, nel 1969. Quest’ultimo era emigrato per primo, e aveva poi invitato Dulbecco nell’Indiana. Di lui, Luria disse semplicemente in seguito: ‘Il mio piu’ grande contributo alla biologia e’ stato di avervi portato Dulbecco’. Un’affermazione che, proveniente dalla bocca di uno dei padri della biologia molecolare, ha ovviamente il suo peso. D’altra parte Dulbecco si era avvicinato alla scienza spinto dalla passione per la fisica e aveva conosciuto la medicina dopo aver "assaggiato" matematica e chimica, a conferma di una passione piena, totale. L’ufficio a Bloomington il giovane Dulbecco lo condivise con un ragazzo di nome James Watson, da lui in seguito ricordato come ‘molto pazzerello, ma intelligentissimo’. Quel ragazzo scopri’ pochi anni dopo, nel 1953, la struttura a doppia elica del Dna insieme a Francis Crick, e sia la scoperta che gli scopritori divennero delle icone della scienza del Novecento. Ed e’ stato proprio Watson a raccontare, piu’ volte, un altro dei contributi fondamentali alla scienza del Novecento dato da Dulbecco: l’idea del Progetto Genoma Umano, da lui proposto tra lo scetticismo generale nel 1985, e portato a termine tra lo stupore generale nel 2000, in soli quindici anni. Quanto al motivo per cui Dulbecco prese il premio Nobel, lo racconto’ in un’intervista che gli feci nel 2002 per questo giornale, spiegando, lui stesso meglio di chiunque altro, come avesse cambiato la lotta contro il tumore mostrando le relazioni tra la malattia e i "difetti" del Dna. ‘Il premio l’ho vinto per questo, per le ricerche sul cancro, iniziate quando Peyton Rous dimostro’ l’esistenza del primo virus cancerogeno, in uno studio sul sarcoma dei polli che gli valse il Nobel nel 1966. Due miei allievi, Harry Rubin e Howard Temin, studiarono una leucemia dei polli diversa dal sarcoma di Rous. Per spiegare come facesse il virus ad avere un’azione permanente nella cellula nella quale entra, venne fuori che ci doveva essere un’interazione tra i geni del virus e quelli della cellula. Il problema era che il genoma del virus era di Rna, e non si capiva come potesse andare a finire nei geni di una cellula il cui genoma era di Dna: naturalmente, non si sapeva allora che c’era un enzima che permette di fare il passo indietro, dall’Rna al Dna. Allora io ho pensato di usare virus che avessero come genoma il Dna: ad esempio, quello appena scoperto del polioma, che causa il tumore nei topi, e anche l’SV40, che agisce su cellule umane. Alla fine siamo riusciti a dimostrare chiaramente che c’e’ questa interazione’. E fu la scoperta da Nobel. Ma Dulbecco aiuto’ la ricerca anche in altri modi: ribadendo la sua contrarieta’ alle posizioni religiose sulle staminali e gli embrioni, battendosi per reintrodurre nei manuali di scuola l’evoluzionismo. Confermando cosi’ di essere non soltanto uno scienziato gentiluomo (come era stato definito), ma un intellettuale civilmente impegnato, di cui sentiremo molto la mancanza".