Non c’è giorno in cui scorrendo le pagine di un quotidiano non leggiamo di un’operazione di Polizia che riguarda il fermo o l’arresto di giovanissimi implicati nello spaccio, nell’acquisto, o nel consumo di sostanze stupefacenti. Fin troppo facile esorcizzare il fattaccio asserendo che sono episodi che investono il mondo giovanile dalla notte dei tempi: forse il modo migliore per affrontare questo suicidio generazionale è parlare di droga ribadendo con forza che nessuna fa bene, non ne esistono che fanno poco male. E’ un imperativo che va portato avanti senza indugi e senza tregue di comodo in famiglia, nelle classi di ogni scuola, negli oratori, occorre farlo in maniera progettuale, preventiva, non solamente quando qualcosa sconvolge il quieto vivere. Per evitare qualche dispiacere domani, è meglio parlarne oggi con la determinazione di chi sa quanto dolore reca la droga, quanta sofferenza straripa dal rimpianto che cresce per un mondo falsificato e adagiato su mille bugie. Ogni giorno giovanissimi che vanno in frantumi, non è un quadro sociale inventato, è quello che accade in ogni città, in ogni periferia, una attualità che non serve rimpicciolire e neppure ingigantire, ma trattare con interventi coerenti, con lo sguardo in alto di chi non intende venire meno al richiamo della propria coscienza. Ragazzi in carcere a imparare a vivere, a rimettere insieme i cocci, a ripensare quel che è stato; a volte, ed è tutto dire, con questo carcere che annienta le personalità, perfino una cella può diventare un punto di partenza necessario per evitare sciagurate trasformazioni in inesistenti punti di arrivo. E’ chiaro che non è il carcere a poter risolvere l’uso e abuso di sostanze da parte di chi strappa l’adolescenza e prosegue dentro un futuro di rischi estremi, di devianza latente, non possono essere le catene né la disumanità di un penitenziario a educare chi ancora non lo è stato. Fare prevenzione significa incontrare le tribù nelle classi, nelle scuole, negli oratori, lì, c’è il territorio da esplorare con la testa e con il cuore, testimoniando con la parola quanto può costare e quanto può annientare usare droga, quanto male può portare lo stordimento di una canna, una tirata di polvere, il reiterato calare giù di pasticche e alcol, lo si può e lo si deve fare attraverso la storia personale di chi ha perduto tutto, peggio, ha dilaniato tutto agli altri, anche la vita. Prevenire significa agire un passo prima della caduta, prima che il vizio divenga malattia, ma per arrivare a questa condizione di aiuto sociale, bisogna crederci e quindi mettercela tutta, per esserci dove è importante non essere assenti, per evitare di produrre “invisibili” in serie, quelli che riteniamo per “comodità” disturbanti, a poco a poco irrecuperabili, addirittura percepiti come interessi da pagare al benessere a cui non intendiamo rinunciare. Anche oggi un minore è caduto, si è fatto male, ha causato sofferenza agli altri, il portone del carcere s’è richiuso alle sue spalle, anche oggi un giovanissimo è entrato in comunità per intraprendere un percorso da “entronauta”, e comprendere come rimandare il momento di affrontare un problema può significare non trovare per tempo una mano tesa a trarti dall’impaccio della bugia, che non rispetta la fragilità e le potenzialità di ognuno. Forse alla prevenzione preziosa di cui parlo, quella pratica che anticipa la caduta, è possibile arrivare con un ripetuto ritrovarsi sul campo, con un progetto che si costruisce insieme.
Vincenzo Andraous