Pronunci “festa della donna” e immediatamente la mente vola all’8 marzo: mimose, cene con le amiche e ringraziamenti per il gentil sesso che, a nostro modestissimo parere, dovrebbe essere festeggiato (e ringraziato) quotidianamente al di là di quanto professato dalla mentalità dominante .
Oggi, a distanza di più di cent’anni dalla scelta di questo giornata come simbolo dell’oppressione delle donne lavoratrici e della lotta per la loro liberazione c’è bisogno di spiegare e far capire cosa significhi essere una donna del terzo millennio.
Quella delle donne è, per semplificare, una vitaccia e non esiste alcuna logica di “quote per donne” che possa rimpiazzare una basilare lotta per una reale emancipazione e liberazione.
“Il femminismo è una filosofia che appartiene a tutte le donne” affermava la femminista francese, Simòne de Beauvoir. Ed innegabile che la condizione delle donne nel mondo occidentale sia notevolmente migliorata anche grazie ad ideologie come quella femminista.
Possiamo sicuramente affermare che la donna con gli anni Sessanta fu protagonista di un grande mutamento sociale, che la portò ad una maggiore consapevolezza del proprio essere fino a pretendere per sé tutti i diritti che le erano stati negati. Prese largo quindi nelle schiere femminili la voglia di cambiare e ribaltare gli schemi in cui erano costrette e si andò cosi, progressivamente ad affermare il principio di parità dei sessi in senso socio-culturale.
Lotte, manifestazioni, slogan femministi e ulteriori prese di coscienza, soprattutto nel ’68 contribuirono ad un ulteriore avanzamento della “questione femminile”. Furono quelli gli anni della determinazione e del coraggio ed il movimento della liberazione della donna auspicò altresì il contemporaneo affrancamento dell’uomo da antichi stereotipi (opinioni rigide e immutabili) circa i ruoli maschili e femminili.
Possiamo dichiarare, senza ombra di dubbio, che la donna dopo il 1968, è molto diversa e che si è fatto largo fra le masse femminili un percorso consapevole del “che fare” e del “proprio ruolo” anche se questo non deve farci dimenticare che in Italia, e in tutto il mondo, persistono grandi differenze e opportunità diverse a seconda della condizione sociale di appartenenza.
E’ innegabile che siano le donne, quelle che più di tutti stanno pagando l’attuale crisi economica, quelle che hanno subito e continuano a subire i maggiori attacchi ai diritti faticosamente conquistati, al sessismo nel lavoro e alla discriminazione di genere.
Come non pensare, a questo punto, all’attuale proposta di abolizione dell’art. 18, articolo che impedisce ai “padroni” di licenziare un lavoratore senza giusta causa?
E’ da considerarsi una conquista di civiltà e consapevolezza dei diritti dei lavoratori.
Sappiamo che a pagare le conseguenze di un eventuale cancellazione di questo articolo, saranno in larga misura le donne perché maggiormente vittime del lavoro precario, casalingo, part time, mal pagato, schiavizzato e flessibile.
Potremmo raccontare, nonostante l’alto tasso di femminile di scolarizzazione e di ”specializzazione” , migliaia di storie di donne: giovani, adulte, italiane, straniere, single, spostate, vedove e percepire cosi il ritratto della società attuale, una società che sta purtroppo tornando indietro di quasi un secolo, una società fatta di doppio lavoro, carriere difficili, esclusione da posti dirigenziali e rapporto fra sessi, di fatto ancora conflittuale.
Troviamo, nella società attuale, esempi drammatici di donne che per mantenere il lavoro, non possono permettersi neanche di sognare un figlio o di quelle che vengono licenziate se in gravidanza; queste donne vedono negarsi palesemente il diritto ad essere madri.
Per le donne del terzo millennio, con buona pace dei cattolici italiani, la scelta non è fra maternità o carriera, come in molti vogliono farci credere, bensì fra maternità e lavoro.
Alla luce di tutto ciò, crediamo sia doveroso domandarsi, per quanto tempo ancora l’’essere donna e madre debba essere considerato, nel nostro paese, un fattore discriminatorio?
I dati Istat del 2011, ci mostrano uno scenario davvero inquietante, il 64% delle donne è disoccupata e soltanto il 73% lavora dopo la prima gravidanza e il 15% abbandona dopo il secondo figlio. A questo, va aggiunto che è il sud del paese ad essere il più colpito dal flagello della disoccupazione femminile.
Al giorno d’oggi le donne tra i 25 e i 54 anni che si occupano dei figli, della famiglia, dei parenti bisognosi sono, in Italia, 8 milioni 378mila, di queste solo il 68,8% al Centro/Nord ed il 34,6% al Sud e nelle Isole hanno un reddito e risultano attive nel mercato del lavoro.
Nel 90% di questi casi, le donne partecipano attivamente, con oltre il 40%, alla formazione del reddito familiare.
Dati, quelli sopra elencati, che dovrebbero farci seriamente riflettere su una società che nei confronti delle donne è ancora molto lontano dal potersi considerare aperto.
Sono le donne del terzo millennio che tengono in piedi la struttura della società occupandosi dei figli, dei genitori, delle persone bisognose per sopperire alla carenza di servizi sociali del paese, troppe volte a discapito della propria realizzazione personale, ma soprattutto, aiutando l’economia familiare in un momento così drammaticamente difficile come quello attuale.
In questo quadro, che ci mostra migliaia di donne invisibili e discriminate crediamo che sia nostro compito recuperare le migliori tradizioni di lotta delle lavoratrici e del movimento operaio per creare le basi per una reale liberazione della donna.
Auspichiamo che questa data non sia solo un giorno per far festa in compagnia delle amiche, bensì un occasione per riflettere sulla condizione femminile e per organizzare lotte volte ad eliminare ogni limitazione sessista ma anche e soprattutto per prendere coscienza del loro spirito di lotta sopito da vent’anni di stereotipi sbagliati di emancipazione e di farsi promotrici di un reale e profondo cambiamento del loro ruolo sociale, per una società più giusta, più equa e priva di discriminazioni.
Camilla Ravera, nel 1921 sulle pagine de” L’Ordine Nuovo”, scriveva: ” La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale” fermamente convinte dell’esigenza di un movimento reale che abolisca davvero lo stato di cose presenti abbia bisogno di donne e uomini ci auguriamo che quest’ultimi si uniscano nella nostra lotta.
Ketty Bertuccelli, segreteria provinciale PRC Messina
Alessia Calabrò, comitato politico federale PRC Messina