Il quotidiano cattolico Avvenire mette in guardia oggi dal rischio che con la fiction su Felice Maniero, negli anni ’80 a capo della banda del Brenta, evaso e poi riacciuffato e infine divenuto un "collaboratore di giustizia", si possa ancora una volta creare un mito negativo. In un editoriale a firma dello scrittore Fernando Camon, rileva infatti che se la mini serie programmata da Sky proponesse "l’espiazione e la redenzione, sarebbe la catarsi, e l’opera avrebbe uno scopo educativo". Ma "sulla scena, in tv e al cinema il successo si raggiunge non smorzando, ma scatenando la violenza. Il delitto va mostrato. E poichè il pubblico è mitridatizzato e il delitto non lo scuote piu’, occorre il superdelitto o la serie di delitti, il serial killer". "Va bene – si chiede l’articolo – Felice Maniero per questo ruolo? Benissimo, è un personaggio perfetto: non ha la morale della nostra società, perchè s’è fatto un’altra società, la banda. Ma non ha nemmeno la morale della banda, perchè la tradisce denunciandola alla giustizia e facendola catturare tutta, da perfetto pentito collaborante".
"La prima figlia – ricorda Camon – non resse a questo ‘caos etico’, e per il pentimento-tradimento del padre si suicido’.
Maniero fu chiamato per il riconoscimento, e dritto sul cadavere della figlia guardava lontano esclamando: ‘Me l?hanno uccisa’. Forse – conclude l’editoriale – faceva meglio a non guardare lontano ma vicino. Molto vicino. Allo specchio".