AVVENIRE, SI IMPEDISCE DI NASCERE ALLE PERSONE DOWN

E’ necessario mobilitarsi per i diritti delle persone Down, per il loro inserimento sociale, contro i pregiudizi e le discriminazioni. Ma tale mobilitazione non può riguardare la difesa di Down solo quando vengono al mondo; in molti Paesi, infatti, "finchè sono nel grembo materno è invece legittimo fare di loro più o meno ciò che si vuole". Lo scrive il quotidiano cattolico Avvenire che dedica oggi l’apertura del suo inserto "E’ vita" alla prima Giornata mondiale delle persone con sindrome di Down, che si terrà il 21 marzo per iniziativa delle Nazioni Unite. Un appuntamento, che verrà celebrato anche al Palazzo di Vetro di New York, ma che, scrive il giornale della Cei, dimentica del tutto il problema dell’aborto selettivo e sul quale dunque "non mancano le ombre, o meglio, le patenti incongruenze. Perchè – spiega l’articolo – il vero pericolo per una persona con sindrome di Down oggi ha un nome molto semplice: aborto. Quell’aborto che proprio le Nazioni Unite da decenni cercano di depenalizzare e quindi di favorire in una miriade di forme e con molteplici sponsorizzazioni". In concreto, denuncia Avvenire, "nei comunicati che spiegano il senso della Giornata di mercoledì prossimo del tema aborto non c’è traccia. Un silenzio inquietante, e in fondo assurdo". Da parte sua, il quotidiano della Cei ricorda quanto sta accadendo, ad esempio, in Danimarca, "dove, secondo uno studio, negli ultimi anni si è avuto un crollo di nascite di bambini Down, con la previsione che entro il 2030 non ce ne sarà più nessuno". "Ma le minacce nei confronti dei nascituri Down – rileva il corsivo – si addensano un po’ ovunque, specie per l’affinamento della diagnostica prenatale associata a una cultura del ‘bimbo sano’ e dei ‘diritti’ dei genitori ad avere un figlio ‘su misura’: negli Stati Uniti lo scorso autunno è stato lanciato ‘Maternit21’, un test prenatale in grado di evidenziare l’eventuale trisomia 21 del nascituro con il semplice esame del sangue della madre". E proprio negli Usa, "a una coppia dell’Oregon è stato riconosciuto un risarcimento di ben 2,9 milioni di dollari perchè nella diagnosi prenatale il medico non aveva rilevato la trisomia 21". Quei coniugi, conclude Avvenire, "hanno tra l’altro due figli che chissà cosa penseranno quando sapranno che i loro genitori hanno voluto arrivare in tribunale, dichiarando pubblicamente che avrebbero soppresso la vita della loro sorellina per un difetto genetico, risarciti con una montagna di denaro".