Rebibbia vista da dentro: la prima volta del Csm

I vertici della magistratura tra le mura di una prigione: non è il frutto di una inchiesta giudiziaria ma di una iniziativa senza precedenti del Consiglio superiore della magistratura, che ha reso visita al carcere romano di Rebibbia con una delegazione ai massimi livelli. Presente l’intero comitato di presidenza di palazzo dei Marescialli, con il vicepresidente Michele Vietti, il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo, il procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani, e tre consiglieri: i ‘togati’ Giovanna Di Rosa e Alberto Liguori e il ‘laico’ Glauco Giostra.

La delegazione ha visitato alcuni reparti dell’istituto di pena ed ha poi incontrato, nel teatro dove è stato girato ‘Cesare deve morire’, il pluripremiato film dei fratelli Taviani interpretato dagli ‘ospiti’ di Rebibbia, una platea di operatori carcerari, agenti della Polizia penitenziaria e detenuti. Una giornata "storica" che arriva in "un momento di trasformazione", ha osservato il capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino, accompagnato nell’occasione dalla sua vice Simonetta Matone e dal direttore di Rebibbia Carmelo Cantone. Chi lavora in carcere "non è un operatore di serie B perché tutto il sistema giudiziario è funzionale all’espiazione della pena di coloro che sono riconosciuti colpevoli", ha sottolineato Vietti, che ha richiamato le "debolezze" del sistema, rilanciando l’appello a una "drastica depenalizzazione" e "decarcerizzazione".

Tra gli operatori carcerari, sono molto sentiti il problema del sovraffollamento ma anche degli organici sempre più risicati degli agenti: l’Ispettore della Pp Giovanni Patrizi ha sottolineato, nel suo intervento, che "è inutile costruire nuove carceri se poi bisogna gestire numeri sempre più improponibili".
I detenuti Francesco De Masi e Giuseppe Perrone, invece, hanno lamentato il fatto che la magistratura di sorveglianza "guarda al passato", senza badare ai progressi che i detenuti fanno dietro le sbarre, cosa che impedisce la fruizione dei benefici che pure la legge prevederebbe per chi ha scontato già molti anni di pena.

Il vicepresidente dell’organo di autogoverno della magistratura ha spiegato ai cronisti di aver trovato a Rebibbia "una struttura molto dignitosa, anche dal punto di vista della gestione", e ai detenuti ha lanciato un messaggio di speranza: "La pena deve essere rieducativa, continuate a guardare al domani", ha concluso.