IL DIVORZIO BREVE. L’OPINIONE DEGLI ITALIANI

Le recenti iniziative parlamentari sul divorzio, tendenti a ridurne i tempi processuali, offrono ancora una volta spunti di riflessione all’interno del dibattito sulla necessità di adeguare la normativa ai cambiamenti sociali e, insieme, aprono ad una più approfondita indagine sul concetto di famiglie. «Famiglia e diritto sembrano evocare due mondi inconciliabili. L’una rimanda ai sentimenti primitivi degli esseri umani, in grado di condizionarne l’esistenza; l’altro rappresenta lo spazio delle regole del vivere comune e, dunque, a differenza della prima ispirato ai principi di generalità e astrattezza» sottolinea l’avv. Andrea Catizone, Direttrice dell’Osservatorio Permanente sulle Famiglie dell’Eurispes. Queste due realtà devono trovare punti di convergenza nell’universo giuridico che regolamenta e determina il modo attraverso il quale gli affetti devono svolgersi. «Sarebbe ed è sbagliato oggi collocare tale dibattito nel solco delle divergenze tra il mondo cattolico e non. La famiglia, oggi più che mai è quell’aggregato di persone che, al di là dei vincoli di sangue, per loro natura indissolubili, fa unire soggetti in nome di un sentimento supremo che è l’amore per l’altro o l’altra» continua l’avv. Catizone.
La normativa attuale prevede, come presupposto per il divorzio, che la separazione tra i coniugi si sia protratta, ininterrottamente per almeno tre anni dalla decisione del presidente del Tribunale nel procedimento di separazione. La legge sul divorzio dovrebbe affermare in modo pieno il diritto individuale a scegliere con chi e in che modo vivere la propria esistenza.
Con il divorzio breve sarebbe possibile, in presenza di consensualità e in assenza di prole, porre fine al matrimonio entro un anno dalla separazione, limitando costose e logoranti lungaggini.
Poiché già da tempo è aperto un dibattito sull’opportunità di introdurre nella legislazione italiana il cosiddetto divorzio breve, l’Eurispes ha intervistato sull’argomento un campione rappresentativo della popolazione del Paese. Chiamati ad esprimersi sull’introduzione del divorzio breve, gli italiani si dichiarano favorevoli nella larghissima maggioranza dei casi: 82,2%. Ad essere contrario è invece il 15,8% degli intervistati, le cui remore sono probabilmente ascrivibili al credere profondamente nell’indissolubilità del vincolo matrimoniale e al ritenere che abbassando le “barriere all’uscita” del legame che regola la vita di una coppia sposata si possa portare le persone ad affrontare con più leggerezza questo passo.

Prendendo in esame la posizione degli intervistati rispetto al divorzio breve in relazione alla fascia d’età di appartenenza, si osserva che sono i giovanissimi a far registrare la più elevata percentuale di favorevoli: un quasi plebiscitario 92%. I più restii di fronte all’introduzione di un provvedimento che semplifichi e velocizzi le procedure di divorzio sono le persone più mature; anche tra i soggetti di 65 anni e oltre i favorevoli sono comunque più numerosi dei contrari (71,1% contro 28,4%). Gli anziani, comprensibilmente, sono più legati, rispetto ai ragazzi, alla concezione tradizionale del matrimonio come legame unico ed indissolubile e per questo più spesso restii ad accettare provvedimenti che semplifichino il suo scioglimento.

Coloro che sono in possesso di titoli di studio medio-alti, intervistati da Eurispes, risultano in percentuali molto elevate favorevoli all’introduzione del divorzio breve (l’83,7% dei diplomati e l’85,5% dei laureati). Al contrario, ad un basso livello di istruzione corrispondono percentuali più basse di soggetti favorevoli: il 74,5% dei privi di titolo o possessori di licenza elementare ed il 75,6% dei possessori di licenza media. Questi risultati possono essere interpretati, almeno in parte, tenendo conto del fatto che i soggetti con un basso livello di istruzione sono in media più anziani, e quindi più restii ad accettare i cambiamenti ed una concezione meno tradizionalista del legame matrimoniale.

Anche l’orientamento politico degli intervistati si dimostra in relazione con posizioni in parte diverse. Tra i soggetti di sinistra e tra quelli che non si riconoscono in nessun orientamento politico si trovano le quote più elevate di favorevoli all’introduzione del divorzio breve (rispettivamente l’88,9% e l’87,9%), seguiti con breve scarto dai soggetti di centro-sinistra (85,6%). Fanno registrare una percentuale meno elevata gli intervistati di centro-destra (77,8%) e, ancor più, quelli di destra (69,4%) e quelli di centro (62,3%). Benché in tutte le aree politiche di riferimento i favorevoli al divorzio breve prevalgano sui contrari, si possono individuare sensibilità differenti. Gli elettori di centro, in particolare, sono ancora i più legati ad un concetto tradizionale del matrimonio e quindi i più restii ad approvare provvedimenti che ne facilitino ed accelerino lo scioglimento. Anche la destra si riconosce con maggior frequenza, almeno formalmente, nei valori tradizionali della famiglia e della religione e ciò potrebbe indurre molti a guardare con sfavore l’ipotesi di una sorta di “divorzi facili”, visti da alcuni come il viatico per un indebolimento generale dell’istituto matrimoniale. Gli elettori di sinistra, invece, si dimostrano generalmente meno legati alla tradizione e ispirati a una visione più progressista della famiglia.

La maggioranza dell’opinione pubblica sembra dunque aderire alla possibilità di abbreviare le procedure necessarie per ottenere il divorzio, al contrario ne auspica l’introduzione. Conseguenza di un mutamento culturale, che vede il matrimonio come una scelta, valida soprattutto se sostenuta dall’affetto e l’armonia tra i coniugi, ma difficilmente difendibile se questi elementi vengono meno.

Il primo dicembre 1970 il divorzio veniva introdotto nell’ordinamento giuridico italiano mediante l’approvazione della legge n. 898 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” (cosiddetta legge Fortuna-Baslini). Il contenuto della stessa risente dei profondi contrasti politici e di una spaccatura sociale marcata, tanto che solo il 12 maggio 1974 gli italiani vengono chiamati a decidere tramite Referendum, sulla sua abrogazione: partecipò al voto l’87,7% degli aventi diritto, votarono “no” il 59,3%, mentre i “sì” furono il 40,7%: la legge sul divorzio rimaneva in vigore. La legislazione sottostante all’introduzione del divorzio, aveva come riferimento il libro primo del Codice civile del 1942 il quale concepiva una famiglia improntata sulla subordinazione della moglie al marito nei rapporti personali e in quelli patrimoniali, e fondata sulla discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio, denominati figli naturali, ai quali era riservato un trattamento deteriore rispetto ai figli legittimi. Fu solamente con l’emanazione della legge sul diritto di famiglia nel 1975 (Legge 19 maggio 1975, n. 151) che si introdussero importanti modifiche al primo libro del Codice civile. Con questa importante riforma si riconosceva la parità giuridica dei coniugi, si abrogava l’istituto della dote, la comunione dei beni diventava il regime patrimoniale legale della famiglia (in mancanza di diversa convenzione), la patria potestà venne sostituita dalla potestà di entrambi i genitori. La Costituzione, d’altro canto, nei tre articoli dedicati alla famiglia, artt. 29, 30 e 31, rappresentava il nuovo limite entro il quale concepire ogni tipologia di relazione tra gli esseri umani. Ciò anche alla luce del fatto che la società stava subendo radicali trasformazioni che da un lato gettavano i semi per rompere la netta separazione dei ruoli tra uomo e donna e dall’altra facevano emergere nuove necessità, anche di tipo organizzativo che necessariamente si riversavano sul modo di vivere. Ed infatti, alla fine degli anni Settanta e soprattutto degli anni Ottanta maturano le condizioni per ripensare alcune procedure della legge sul divorzio. Con la legge 74/1987 si accorciarono i tempi per giungere alla sentenza definitiva di divorzio conferendo al giudice la facoltà di pronunciarsi sullo status delle persone in maniera anticipata rispetto al trattamento delle questioni economiche o di affidamento dei figli.

Ma oggi, nei primi anni del nuovo millennio, il matrimonio è ancora una meta ambita dalle coppie o soltanto una scelta coraggiosa? Costituisce l’unico modo di formare una famiglia? Viene inserito in un progetto di vita del singolo oppure rappresenta solo un’esperienza che può durare o meno, al pari di altri percorsi professionali o relazionali di minor coinvolgimento?
Come si può vedere, il numero complessivo dei matrimoni dal 2005 al 2009 ha subìto una diminuzione, pur con un andamento fluttuante nel corso del quinquennio. A questa tendenza corrisponde, d’altra parte, il costante aumento delle convivenze, sempre più spesso una fase propedeutica o una vera e propria alternativa alle nozze. A fronte di 250.360 matrimoni celebrati nel 2007 si registrano 81.359 separazioni; nel 2008 su 246.613 matrimoni le separazioni sono state 84.165 e nel 2009 su 230.613 matrimoni le separazioni aumentano a 85.945. I valori percentuali dimostrano in modo concreto il crescere delle separazioni rispetto al numero dei matrimoni. Il dato è reso significativo dal fatto che a fronte di una diminuzione del numero dei matrimoni si registra un aumento del numero delle separazioni.

In caso di separazione la durata media dell’unione matrimoniale nel 2009 è stata pari a 15 anni; 18 anni, invece, in caso di divorzio. Inoltre si stima che l’età media dei separati è di 45 anni per gli uomini e 41 per le mogli. I divorziati, invece, hanno mediamente 47 anni, se uomini, 43 anni se donne. La separazione costituisce un passo propedeutico per ottenere il divorzio. Nel triennio 2007-2009 il numero dei divorzi risulta in crescita: dai 50.669 del 2007 ai 54.456 del 2009, in linea con il trend crescente delle separazioni.

Forse, rispetto al passato, sono mutate le condizioni necessarie perché due persone decidano di condividere la propria vita: oltre al legame affettivo-sentimentale, hanno acquistato un peso notevole e, a volte, fondamentale, fattori come il posto di lavoro, il reddito, l’abitazione, il tenore di vita; forse sta cambiando il modo di interpretare la vita, e non è più necessario mettersi alla ricerca dell’“anima gemella”, il vivere sociale offre occasioni che svincolano gli individui dal dover necessariamente avere un legame esclusivo e duraturo. Certamente si assiste ad un radicale cambiamento dei valori dominanti: quelli che erano considerati i valori tradizionali, come la religione, il matrimonio, la famiglia sono sempre più condizionati o sostituiti da altri valori come il successo e l’affermazione personale, il denaro, il benessere, la libertà di scelta dell’individuo.
Questo insieme di fattori può essere considerato all’origine delle tendenze osservate: diminuzione dei matrimoni, aumento delle separazioni e dei divorzi. Tenendo conto di questi mutamenti sociali, appare quanto mai attuale il dibattito circa l’opportunità di abbreviare i tempi di scioglimento delle unioni matrimoniali. Occorre inoltre non trascurare il fatto che negli ultimi decenni sono aumentate le seconde nozze, o le unioni che nascono dallo scioglimento di precedenti matrimoni, e che spesso l’attuale legislazione sul divorzio, particolarmente macchinosa e che richiede l’impiego di risorse economiche non indifferenti, costituisce un ostacolo alla serena ri-costituzione delle famiglie. È sempre dell’Eurispes, nel lontano 1993 la prima indagine sui nuovi aggregati affettivi, definiti bonariamente con il termine “famigliastre” per indicare quelle nuove unioni che coinvolgevano la vita di molti italiani, ignorate dal Legislatore e, quindi, prive di regole. Da allora, sostiene l’avv. Andrea Catizone, «nulla è stato fatto in questa direzione e, sebbene l’attuale proposta di legge sulla modifica alla legge n.898 del 1970 sia un piccolo passo in avanti, sarebbe molto importante se si spingesse più a fondo giungendo a modificare in maniera più razionale l’intero diritto di famiglia».