“Urla a bassa voce, con le sue voci dal buio, è un libro importante e necessario. Ci costringe ad aprire gli occhi di fronte a una realtà che non ci piace. Ci obbliga a conoscere ciò che non vorremmo sapere, realtà che vorremmo tenere distanti dalla nostra vita e che – di fatto – ci riguardano” così Don Luigi Ciotti nella prefazione al libro.
Si tratta di una raccolta di interventi di 36 ergastolani ostativi, quasi tutti passati per il 41 bis, sparsi un po’ in tutte le carceri italiane, nei circuiti AS1. Per loro, dopo le leggi emergenziali in vigore a partire dagli anni ’90, e per via del meccanismo che ne deriva, scatta quello che viene chiamato "ergastolo ostativo", perché non sono collaboratori di giustizia: la loro situazione, insomma "osta" a che , anche dopo lunghi anni di carcere (e c’è chi ne ha trascorsi in carcere trenta), possano ottenere benefici normalmente previsti dalla legge. In pratica dal carcere non escono né usciranno mai.
In questo libro parlano della loro condizione, di quello che pensano, di quello che chiedono. Parole che aprono uno squarcio su un mondo complesso e contraddittorio e pongono un interrogativo: è giusto, qualsiasi cosa sia stata commessa ( e qualcuno comunque qui si dichiara innocente) essere "condannati" per sempre? Perché, almeno in teoria, per chiunque è ammessa "la redenzione" e per loro no? E non è questo in contrasto evidente con il principio, contenuto nella nostra Costituzione, del fine rieducativo della pena? Si tratta delle stesse persone che hanno provocatoriamente chiesto a Napolitano di tramutare la loro condanna in pena di morte perché, dicono, "di morte viva si tratta”.
Il libro, a distanza di vent’anni dall’inasprimento delle leggi introdotte per combattere la criminalità organizzata, pone una questione di diritto e di diritti, e apre a molti interrogativi sul senso della pena. Una questione forse da non accantonare, pur in un momento di tante polemiche a proposito di 41 bis e dintorni, o forse proprio per questo. E’ un tema di cui si parla grazie ad organizzazioni che si occupano di diritti umani, della condizione dei carcerati, all’interno del mondo carcerario, ma che trova una grande chiusura nella società.
E a questa nostra società tutta che si rivolge Don Luigi Ciotti quando nella prefazione dice: “Le ragioni ( sacrosante e legittime) di chi dal delitto è stato ferito nella vita e negli affetti non possono essere negate, così come non può essere dimenticato che ci è chiesto di muoverci nella direzione di una giustizia che sappia riparare, essendo impossibilitata a risarcire davvero, perché alla perdita di un bene supremo qual è la vita non c’è rimedio possibile. Impedire alla giustizia di diventare vendetta è la vera sfida a cui siamo chiamati. Impedire che la giustizia “chiuda” chi ha sbagliato nel suo errore ( e gli neghi la possibilità del cambiamento) è l’altra faccia della stessa medaglia. (…) Giudicare insensato il carcere senza fine non è, del resto, asserzione ideologica o radicalismo astratto, ma semplice constatazione. Tenere una persona imprigionata significa, letteralmente, tenerla in cattività. Non c’è positività, non c’è il buono possibile nell’uomo in catene; c’è la sua mortificazione e semmai una spinta a essere peggiore. (…) Urla a bassa voce ci ricorda che siamo tutti chiamati in causa, nella società e davanti alle nostre coscienze”.
Don Luigi Ciotti è firmatario dell’appello contro l’ergastolo, iniziativa di Carmelo Musumeci, che dal carcere di Spoleto, due anni fa, aveva lanciato l’idea da cui è poi nato “Urla a bassa voce”.
Fra gli aderenti alla campagna contro l’ergastolo, anche Umberto Veronesi che, sostenitore dell’origine ambientale del male, afferma che “l’ergastolo equivale alla morte cerebrale”, mentre oggi sappiamo che il nostro cervello può rinnovarsi, premessa che può avere forti implicazioni sul piano della giustizia.