DOPPLER ULTRASUONI MISURA RISCHIO INFARTO O ICTUS

Basta un doppler a ultrasuoni per misurare il rischio infarto o ictus nei pazienti con fibrillazione atriale. Attraverso la semplice rilevazione della pressione di una gamba si misura, in due o tre minuti, l’indice fra la pressione del sangue negli arti superiori e quelli inferiori: se il valore ottenuto è sotto l’1, si è a rischio infarto o ictus. E’ uno dei risultati della ricerca ‘Ara Pacis’, condotta su 2 mila persone in 150 centri in tutta Italia, presentata oggi a Roma durante il congresso della Società italiana di medicina interna (Simi). Il doppler, spiega la Simi in una nota, agisce misurando le onde sonore ad alta frequenza, riflesse dai tessuti. Quando il valore dell’indice fra la pressione degli arti superiori e quelli inferiori, considerato normale fra l’1 e l’1.3, si abbassa, per esempio anche solo a 0,9, la persona è a rischio di infarto o ictus. Se l’indice è al di sotto dello 0.5, il rischio è ancora più alto ed è possibile che la gamba possa in futuro essere operata. L’esame è davvero molto semplice e consente di verificare in tempo reale se il paziente è a rischio di infarto o ictus – conferma il presidente della Società italiana di medicina interna, Francesco Violi, direttore della I Clinica Medica al Policlinico Umberto I e professore ordinario di Medicina Interna all’Universita’ La Sapienza di Roma. Questo metodo potrebbe davvero essere piu’ usato in tutti i centri, perche’ non richiede che un doppler e nessun’altra attrezzatura aggiuntiva’.
In Italia a soffrire di fibrillazione atriale sono lo 0,8% degli uomini e lo 0,7% delle donne. E’ un disturbo che si associa a un aumento di circa 2 volte della mortalita’ ed e’ ritenuto responsabile di un aumento di circa 5 volte del rischio di attacco cardiaco, quindi del 15% degli attacchi cardiaci totali. I pazienti con la fibrillazione atriale, ricorda la Simi, hanno una storia clinica spesso complicata da altri eventi cardiovascolari che includono l’infarto del miocardio e la morte vascolare, un aspetto conseguente alla coesistenza, frequentemente rilevabile in questo tipo di pazienti, di diversi fattori di rischio per l’aterosclerosi.