Quasi sempre ho letto e presentato libri critici dell’unità d’Italia e del cosiddetto Risorgimento scritti da autori che grosso modo possono essere arruolati al filone tradizionalista, cattolico e controrivoluzionario, per intenderci come quelli di Carlo Alianello, Angela Pellicciari. Questa volta faccio riferimento ad autori di sinistra, sicuramente non di “destra”. Sono libri che ho “acquistato” tempo fa, nella solita libreria dell’outlet milanese, pubblicati in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Comincio con “C’era una volta in Italia” di Antonio Caprarica, Sperling & Kupfer- Rai Eri,(2010) poi Terronismo di Marco DeMarco, Rizzoli (2011), Una e indivisibile, di Giorgio Napolitano, Rizzoli (2011) e infine La Regina del Sud, di Arrigo Petacco, Arnoldo Mondadori Editore, quest’ultimo un po’ datato, è del 1992, ma pur sempre valido e quindi ottimo per capire gli eventi di quegli anni. Con mia sorpresa posso scrivere tranquillamente che tutti i testi appena citati più o meno criticano con sfumature diverse come è stata fatta l’unità d’Italia, perfino il presidente Napolitano, che spesso durante l’anno dei festeggiamenti si è lasciato andare a facili agiografie e non poche oleografie sia dei personaggi che del movimento risorgimentista, nel suo libro di riflessioni sui 150 anni della nostra Italia, traspare qualche leggera critica a come è stata condotta la conquista del nostro Meridione. All’inizio sul moto unitario, scrive: “Nessuno può voler rimozioni o censure, a favore di una rappresentazione acritica o addirittura agiografica”. Buoni propositi che non sempre sono stati messi in atto a cominciare da lui. Parla del brigantaggio insidiato dal revanscismo borbonico, sarebbe stato sanguinosamente represso. E poi fa riferimento a una rigida unificazione legislativa e amministrativa, secondo il modello piemontese, e da scelte di governo centralizzatrici.
Napolitano ammette che con l’avvicinarsi del Centocinquantenario sono emersi giudizi sommari e pregiudizi volgari sull’Unità d’Italia, pertanto scrive, “(…) non si chiede, nel celebrare il Centocinquantenario, una visione acritica del Risorgimento, una rappresentazione idilliaca del moto unitario e tantomeno della costruzione dello Stato nazionale”.
Napolitano lo conosciamo tutti, anche la sua provenienza politica, mentre Antonio Caprarica, è un giornalista e autore di “C’era una volta l’Italia”, ha scritto sull’Unità, è stato condirettore di Paese Sera, ora è giornalista Rai, corrispondente da Londra. E’ significativa la citazione iniziale dello storico Gioacchino Volpe al libro, “Il Risorgimento è una conquista degli italiani su se stessi, prima ancora che non sugli stranieri”.
Il libro di Caprarica rappresenta una specie di viaggio fra patrioti, briganti e principesse nei giorni dell’unità d’Italia. I protagonisti non saranno i grandi e famosi già immortalati nei testi di scuola, saranno la gente comune anche in quei giorni in cui diventavano italiani senza saperlo. Nell’introdurre il libro il giornalista di Lecce fa riferimento alle varie contese politiche e storiografiche che si stanno facendo selvagge. Fortunatamente per ora incruenti, ma per il futuro non si sa. “Le differenze, le diffidenze, i rancori e i sospetti che ci hanno diviso per secoli sono tornati ad affiorare prepotentemente. Non c’è solo una larga parte del Nord ansiosa di liberarsi del Sud come di una palla al piede. C’è oggi anche una larga parte del Sud che si sente rapinata dal Nord, e prima di liberarsene (anch’essa!), esige un massiccio risarcimento”.
Delle invettive del Nord, se ne parla spesso, ma di quelle del Mezzogiorno contro il Nord è da poco che se ne parla, per Caprarica va assai di moda il rivendicazionismo meridionale, che certo ha molte buone ragioni; ma rischia di smarrirle quando si schiera sotto le bandiere dei neoborbonici ricomparse, incredibilmente, sotto la linea del Liri-Garigliano”.
Comunque sia per Caprarica, “Hanno ragione gli storici revisionisti che raccontano l’annessione del regno delle Due Sicilie piuttosto come una spoliazione di metà del Paese. E hanno ragione quelli che si ribellano alla retorica unitaria che ha nascosto per cento anni le stragi dei ‘conquistatori’ piemontesi nel Sud ribelle per fame”.Tuttavia però per quelli che ancora nostalgicamente credono in un ritorno dei borboni, perché vedono in quel periodo come una sorta di felice Arcadia, secondo Caprarica, occorre fargli qualche semplice domanda: “come mai questo paradiso terrestre non ha retto all’urto di quella che all’inizio era solo una banda disorganizzata di mille volontari? Come mai questo Stato così ricco, fiorente, ben amministrato fiscalmente, si è afflosciato come un castello di carte sotto il primo soffio?”
Certamente ora noi sappiamo benissimo che hanno influito molto i numerosi tradimenti da parte degli ufficiali borbonici, i generali in particolare vecchi e corrotti sono stati completamente “comprati” dalla massoneria internazionale e inglese in particolare. Ma questo tradimento è potuto nascere perchè ormai probabilmente come scrive Caprarica, “(…)il regno borbonico era una costruzione statale marcia, corrosa dai tarli dell’inefficienza, dell’arbitrio e della corruzione”.
Peraltro è ugualmente “falsa e artificiale la rappresentazione di un Nord evoluto, ‘civile’ e prospero costretto a sobbarcarsi la ‘liberazione’ dei parenti poveri del Mezzogiorno”.
Il libro di Caprarica è ricco di note, e dalle citazioni si vede che ha letto i testi di storici come Giacinto de’ Sivo, Carlo Alianello, Gigi Di Fiore, Francesco Pappalardo, Fulvio Izzo, Patrick K. O’Clery per restare a quelli di tendenze cattoliche controrivoluzionarie.
Già nel 4 capitolo fa riferimento al notevole ruolo che ha avuto la camorra per mantenere “l’ordine” a Napoli dopo la fuga di Francesco II e Maria Sofia. I “guaglioni” e i “picciotti”, diventano poi guardiani del plebiscito farsa, dove hanno avuto e fornito un contributo non da poco al trionfo del “Si” allo Stato unitario sotto Vittorio Emanuele II. A vigilare con pistola, bastone e coltello, ci sono loro.
Il libro fa riferimento alla piemontesizzazione delle strutture amministrative, in pratica l’invasione dei Gian Duja per ‘moralizzare’ Napoli. Il luogotenente Farini appena arrivato a Napoli, scriveva una drammatica lettera a Cavour: “Altro che Italia! Questa è Affrica. I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civile”.
Per il momento mi fermo, alla prossima.
DOMENICO BONVEGNA
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