LA “CONQUISTA DEL SUD” OSTACOLATA SOLTANTO DA UNA GIOVANE REGINA

Prima di presentare il volume, La Regina del Sud, vi devo qualche riflessione sul libro Terroni di Aprile che secondo Demarco intende sminuire “l’eccessiva retorica risorgimentale svelando il volto violento, repressivo e anche coloniale dell’intervento sabaudo”. Ottima l’intenzione, soltanto che per Demarco, il testo,“non si accontenta del molto. E neanche del moltissimo. Punta al tutto, al ribaltamento assoluto della Storia”. Mi sembra eccessivo il giudizio, allora che dovremmo scrivere di Carlo Alianello, Patrick K. O’Clery o di Angela Pellicciari? Demarco naturalmente non li cita ma fa riferimento ad altri storici “moderati” come Angelantonio Spagnoletti, ma anche lo stesso Giordano Bruno Guerri, che hanno prestato particolari attenzione alle ragioni dei vinti, ma assai più equilibrati e sicuramente senza coltelli tra i denti. Per quanto mi riguarda, ho letto e recensito Terroni, mi è sembrato un po’ confuso politicamente e troppo nostalgico, carico di un rivendicazionismo che non tiene conto della realtà e cioè l’Unità del Paese ormai c’è, non si può ritornare al passato, piuttosto bisogna discutere dell’ideologia risorgimentista.
Nel 12 capitolo Demarco intravede addirittura un romanticismo sudista, dove s’intrecciano forze e culture, in un’unica trama, un’unica storia, raccontata a più voci, che si avvicinano, si annusano, si sovrappongono. A questo punto Demarco si domanda: “Chi poteva immaginare che, in un’atmosfera di nuovo Romanticismo, un giorno i nipotini di Gramsci e quelli di Ferdinando II avrebbero deposto le armi in nome di una causa comune? E che alla figura del neoborbonico vero, di tradizione e cultura monarchica, si sarebbe affiancata quella di un neoborbonico giacobino, repubblicano e postcomunista?” Peraltro il Risorgimento al Sud non è mai piaciuto a nessuno, né ai cattolici, né ai comunisti, tanto meno ai borbonici, ma anche a quei meridionalisti come Salvemini, Fortunato e Nitti. A proposito dei cattolici Demarco si sorprende del protagonismo dell’ex magistrato Alfredo Mantovano, cattolico di Lecce, eletto in parlamento nelle fila del centrodestra. Mantovano colto e sicuro del suo integralismo, – scrive Demarco – non si è sottratto al dibattito sui centocinquant’anni dell’Unità d’Italia e ti credo come poteva sottrarsi uno che si è formato alla scuola di Alleanza Cattolica. Tra le tante manifestazioni che ha organizzato l’onorevole Mantovano, in occasione dei centocinquant’anni dell’Unità del nostro Paese, ha organizzato un processo sui generis proprio a Maria Sofia, l’ultima regina del Regno borbonico, tanto chiacchierata dalla pubblicistica nostrana e internazionale. E dopo questa notizia passo all’ultimo testo da presentare, che tratta proprio di Maria Sofia, La Regina del Sud di Arrigo Petacco, Arnoldo Mondadori editore. Maria Sofia di Borbone, una delle cinque famose sorelle Wittelsbach, tra queste ricordiamo Elisabetta, la celebre Sissi, imperatrice, moglie di Francesco Giuseppe. Maria Sofia diventa regina di Napoli a soli 18 anni, moglie di Francesco II. Una ragazza bella, intrepida, avventurosa, temuta da Cavour, più popolare dello stesso Garibaldi, dopo l’unità diventa il simbolo più fulgido del legittimismo reazionario. Diventa eroica protagonista durante l’assedio di Gaeta, poi animatrice appassionata del brigantaggio politico nelle provincie meridionali, non si arrese mai all’inesorabile avanzare della Storia, D’Annunzio la chiamerà, l’”aquiletta bavara”. Scrive Petacco nell’introduzione: “Adorata dai suoi soldati, amata dai giovani eroi romantici che giungevano da ogni parte d’Europa per porre ai suoi piedi il loro cuore e la loro spada, l”eroina di Gaeta’, malgrado avesse al fianco un consorte frigido e fatalista (il fin troppo vituperato Francischiello) combatté una lunga battaglia senza regole e senza quartiere contro l’odiato Savoia”. I suoi avversari hanno tentato di offuscarne l’immagine, attribuendogli amanti e nefandezze. Si giunse persino a realizzare ai suoi danni un osceno fotomontaggio (il primo nella storia della fotografia). Fino all’anno scorso non conoscevo bene questa splendida figura di regina, avevo letto qualcosa in internet, ora con questo libro ho le idee più chiare. Maria Sofia era una donna di temperamento avventuroso, amava cavalcare cavalli e spesso nuotava nelle acque pulite del golfo di Napoli, tirava di scherma e vestiva da amazzone, fumava in pubblico quei sigari lunghi e sottili che tanto scandalo avrebbero sollevato nella bigotta corte di Napoli, queste abitudini, la rendevano estroversa, fuori da ogni schema per quei tempi. Aveva ricevuto un’educazione disinibita in famiglia in particolare da suo padre il conte Max. Certo con una donna così esuberante il povero Francesco, figlio di Maria Cristina, la Regina Santa, ha avuto qualche difficoltà, lui educato come un seminarista, mistico per temperamento. Eppure dopo qualche iniziale titubanza i due riuscirono a coesistere anche nella loro intimità
Ferdinando II, muore a quarantanove anni, lasciava il trono pericolante nelle mani di un figlio assolutamente incapace di regnare e purtroppo si è visto quasi subito, tra l’altro il giovane re era succube di sua madre (matrigna) Maria Teresa, che svolgeva il ruolo di eminenza grigia, ben presto si scontrò con il carattere forte e ribelle di Maria Sofia.
I due giovani sovrani ben presto dovettero affrontare la guerra che i “parenti” di Torino gli avevano dichiarato senza farsi vedere, con lo sbarco dei Mille di Garibaldi e le sue facili vittorie, grazie ai tradimenti degli ufficiali borbonici, lo portano in poco tempo alle porte di Napoli. Così arriva al momento di affrontare l’esercito garibaldino, la situazione è complessa, Francesco II fatalista e rassegnato, non sa assumersi le sue responsabilità, Maria Sofia, lo invita, lo implora a montare a cavallo e a guidare personalmente l’esercito rimastogli fedele e controbattere. Certo scrive Petacco, “Francesco non era imbecille come la storiografia risorgimentale ha sempre cercato di dipingerlo. O almeno non più imbecille di altri sovrani del suo tempo che pure regnarono felicemente. Al momento opportuno rivelerà anche sprazzi di intelligenza e di audacia sia pure sempre velati dalla sua rassegnata ironia”. Il vero problema per Petacco non era lui, ma gli uomini che lo circondavano: “una massa di cortigiani, di generali ignoranti, incapaci, corrotti, cinici e pronti al tradimento per salvare se stessi”.
Mi fermo prometto di continuare .

DOMENICO BONVEGNA
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