
Con questo intervento concludo la recensione del libro di Arrigo Petacco, “La Regina del Sud”, Arnoldo Mondadori Editore (1992). Il testo oltre a mettere in risalto la figura di Maria Sofia, racconta gli avvenimenti di quell’estate napoletana del 1860, in particolare della corte di Napoli. E’ “l’estate del ‘si salvi chi può’”,“l’estate della paura”, così definita dagli storici. “Fu l’estate della viltà. Del trasformismo, del tradimento, degli inganni e del doppio e triplo gioco (…) Insomma – scrive Petacco – accade a Napoli quello che sarebbe accaduto a Roma un’estate di ottantatré anni dopo, quella del 1943, quando (ah, la memesi storica!) i Savoia vennero a trovarsi in una situazione non molto diversa da quella dei Borboni”.
Intanto Garibaldi si avvicinava a Napoli, e“tutti hanno paura di tutti: i liberali dei reazionari, i cavourrriani dei garibaldini, i militari dei borghesi e viceversa. Da parte sua, il governo ha paura di tutti senza fare paura a nessuno”. Fra tutti, Francesco II era il più disorientato, l’unica ad avere le idee chiare era la giovane regina. In sostanza, “era tutto un vecchio mondo – scrive Petacco – che andava in rovina e una fanciulla di diciannove anni non poteva da sola riuscire a salvarlo”.
Nello frattempo la diplomazia internazionale si era già messa in moto per sistemare “la rivoluzione siciliana”, in particolare l’Inghilterra, da sempre interessata al Mediterraneo, l’unica a incoraggiare Garibaldi, per perseguire il progetto di creare una grande (chiedere a Dostoevskij) Italia unitaria.
In questo mondo si muove Cavour che vuole impadronirsi del regno di Napoli senza essere totalmente debitore all’”eroico avventuriero”,ma ha il problema di salvare il Piemonte agli occhi del mondo dall’accusa di complicità coi “filobustieri” in camicia rossa. “E’ la commedia degli inganni che continua”.
Intanto Francesco II fra tante incertezze, inquietudini e diserzioni aveva maturato la decisione di lasciare Napoli e trasferirsi a Gaeta col suo esercito e il resto della flotta che ancora non si era venduto ai piemontesi. I semplici soldati erano fedeli alla corona e tutti desiderosi di combattere, “la pavidità dei loro comandanti ha fatto scattare la molla dell’orgoglio e dello spirito di corpo. Reclamano la presenza de lu re e non esitano, in più occasioni, a uccidere gli ufficiali che ordinano la ritirata”.
Non tutto era perduto, “la situazione non sarebbe ancora disperata se solo ci fosse un uomo di polso capace di assumere il comando”. Al posto di Francesco II ci voleva uno come Gabriele D’Annunzio, che manifestò ammirazione per l’eroica Maria Sofia.
Prima dell’ultima resistenza nella fortezza di Gaeta, l’esercito borbonico, combatte sul Volturno, “per la prima volta, i napoletani facevano sul serio”. Anche il giovane sovrano sembra che si sia scrollato di dosso quello stato di cupa rassegnazione. “Lontano dagli intrighi della corte napoletana, circondato da ufficiali della cui fedeltà non aveva motivo di dubitare e spronato da una moglie che in quell’atmosfera eroica si sentiva finalmente a proprio agio, Francesco sembrava un altro uomo”. Tra l’altro Maria Sofia, confesserà che, “non fu mai felice come in quei giorni. Aveva adottato una personale uniforme combinando l’abito da amazzone con il costume calabrese. Sul tailleur nero di taglio maschile – continua Petacco – portava il mantello nero dei montanari, largo e pesante che, scherzando, usava definire ‘il mio più bel manto reale’. Calzava stivali neri, alti, a doppia suola, tacco basso e rozzi speroni. Copriva la folta chioma col cappello nero a cono (…) In quella mise la giovane regina appariva più bella di quando si esibiva in una delle sue numerosissime toilettes parigine che aveva volontariamente abbandonato negli armadi di palazzo reale. Grazie al suo nuovo look,di regina soldato – continua Petacco – l’immagine di Maria Sofia diffusa dai giornali dell’epoca non tarderà a diventare nella fantasia di molti giovani il simbolo stesso della resistenza borbonica”.
La battaglia del Volturno poteva cambiare il corso della Storia, lo stesso Garibaldi corse il rischio di morire o di essere fatto prigioniero, mentre Nino Bixio costretto alla fuga. “Per gran parte della giornata, i borbonici erano venuti a trovarsi molto vicini al successo”, ma per colpa di qualche ufficiale borbonico e della poca esperienza della Guardia reale napoletana, la battaglia si spostò a favore dei garibaldini.“Giocò a loro svantaggio l’inferiorità dei loro comandanti rispetto all’abilità strategica di Garibaldi il quale, pur trovandosi per la prima volta ad affrontare una vera battaglia campale, seppe alla fine venirne felicemente a capo. Resta il fatto che il numero dei morti e dei feriti garibaldini superò di gran lunga quello dei napoletani”.
Tuttavia la battaglia del Volturno,“aveva dimostrato che i soldati napoletani sapevano combattere”. Proprio quello che avvenne sugli spalti di Gaeta. Nella fortezza circa 12.000 soldati e 900 ufficiali borbonici diedero vita all’epica resistenza di fronte ai continui bombardamenti degli assedianti del generale Cialdini. “A Gaeta – scrive Petacco – si registrò anche l’ultimo disperato sussulto del vecchio mondo, che non voleva sparire senza combattere. Il mondo legittimista, ancora legato ai principi assolutistici spazzati via dalla Rivoluzione francese, volle infatti tentare a Gaeta l’ultima resistenza contro l’inesorabile avanzata del mondo moderno”.
Petacco lamenta il poco rispetto che hanno avuto certi storici nei confronti dei poveri soldati napoletani, qualificati quasi sempre come “l’esercito di franceschiello”, ignorando la loro eroicità e soprattutto quella di Maria Sofia che diventerà famosa in tutta l’Europa come “l’eroina di Gaeta”. Fin dal primo giorno la giovane regina diventa il simbolo dell’assedio. Insomma a Gaeta, Maria Sofia, “vive i giorni più esaltanti della sua vita e mai li scorderà”. Inoltre, “vive anche i momenti più belli della sua infelice unione coniugale. Perché mai come ora i sovrani furono così uniti (…)Anche Francesco,affronta l’assedio con dignitosa fermezza”. Ma ormai è troppo tardi. I due sovrani affrontano gli ultimi giorni dell’assedio dentro la casamatta della batteria S. Ferdinando. Gli episodi di eroismo di cui fu protagonista Maria Sofia sono innumerevoli, spesso appariva in mezzo ai soldati a cavallo, vestita della sua bizzarra uniforme, tranquilla e allegra nella sua freschezza di fanciulla non ancora ventenne, del resto, scrive Petacco, aveva trovato in quell’ambiente di guerra l’occasione di realizzare quei sogni di ragazza avventurosa che aveva coltivato nel suo cuore fin dalla più tenera infanzia. Spericolata, amante del rischio e, non dimentichiamolo, pervasa da quella vena di eroica follia che animava tutti i Wittelsbach, la giovane sovrana si muoveva fra soldati e cannoni come un pesce nell’acqua”.
Il 14 febbraio 1861 i due giovani sovrani capitolano, escono dalla casamatta e si avviano verso l’esilio a Roma da PioIX, il regno di Napoli non esiste più, ma l’”aquiletta bavara” non si rassegna, anche quando l’Unità nazionale pareva ormai consolidata, Maria Sofia continuò a lottare per la riconquista del suo regno. Arrigo Petacco ne racconta i retroscena delle sue attività cospirative, le sue frequentazioni nelle più importanti corti europee. L’indomita regina giunse a schierarsi, persino con gli anarchici, e pare, come cerca di documentare qui Petacco, poté finalmente consumare la sua più terribile vendetta: eliminare il re Umberto I attraverso l’anarchico Gaetano Bresci.
DOMENICO BONVEGNA
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