Il 12 dicembre scorso al termine dell’udienza Generale, il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato in diretta il suo primo tweet da un tablet, così dopo l’utilizzo di facebook, il Papa prova anche twitter, per una“ presenza concreta anche nel mondo digitale”. La Chiesa e quindi il Papa in persona, non finiscono mai di stupire, smentendo quei facili luoghi comuni, che di solito li rappresentano relegati ai margini del Progresso. Ho presente quando Vittorio Messori nel 1° convegno della Bussolaquotidiana, svoltosi a Milano, evidenziava che la Chiesa da sempre, è stata protagonista con i nuovi strumenti di comunicazione. Nel 1450 a Magonza quando Johan Gutemberg inventò i primi caratteri mobili per stampare, il Papa di allora premurosamente mandò un gruppo di monaci in Germania per studiare le nuove tecnica di stampa. Ricordate padre Mariano Roasenda con le sue seguitissime trasmissioni televisive dal 1955 in poi? Padre Mariano vide nel mezzo televisivo una possibilità di fare arrivare il suo messaggio a un numero sempre più vasto di persone.
“La scelta di Benedetto XVI di essere presente su Twitter – scrive padre Domenico Paoletti, preside del Seraphicum – riveste una grande importanza e merita un’adesione ampia, a cominciare da noi religiosi”. Qualche anno fa il Santo Padre esortava la Chiesa a vedere il web non come una minaccia ma come una risorsa da sfruttare. Secondo Benedetto XVI la chiesa avrebbe dovuto guardare Internet “con entusiasmo e audacia”, i sacerdoti dovevano vivere la rete e utilizzare gli strumenti che offre soprattutto come i social network come strumento evangelico. Discorso in linea coi tempi: sono sempre di più i religiosi su Facebook, ad esempio. Proprio con questo mezzo si è creata una bellissima catena di persone che portano avanti gli insegnamenti del Vangelo, raggiungendo anche persone topograficamente lontane. Papa Ratzinger intervenendo sull’argomento ha affermato: “Una pastorale nel mondo del web non deve dimenticare chi non è credente, o è sfiduciato o chi ha nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche, dal momento che i nuovi strumenti permettono di entrare in contatto con persone di ogni religione, con chi non crede e persone di ogni cultura. Il web può fare spazio anche a chi considera Dio ancora uno sconosciuto”.
La pastorale d’oggi, l’evangelizzazione, ha l’obbligo di rivolgersi agli uomini del nostro tempo con i mezzi attuali, come la radio, la televisione, quindi con internet. Dunque il Vaticano è sempre stato all’avanguardia, il Papa si rivolge agli utenti di facebook e twitter chiedendo loro di fare un utilizzo positivo del proprio profilo evitando identità fasulle. Tuttavia, il Papa mentre benedice Facebook e Twitter, teme che gli utenti possano cadere nell’illusione di una vita virtuale parallela: “Le nuove tecnologie – ha sottolineato il Papa – permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie. Questa è una grande opportunità, ma comporta anche una maggiore attenzione e una presa di coscienza rispetto ai possibili rischi”. Il Papa riconosce gli aspetti negativi del web e lancia l’allarme del pericolo di isolarsi in una torre d’avorio virtuale e in una vita parallela fatta di bit. Pertanto, il contatto personale resta insostituibile, come ha ribadito l’altra mattina padre Livio Fanzaga da Radio Maria, anzi lui è convinto che il futuro sarà della radio.
In questi giorni ho letto un interessante libro Il filo interrotto edito da Mondadori (2012), curato da Giovanni Maria Vian. Il libro raccoglie alcuni interventi di giornalisti, esperti della comunicazione e affronta la questione della comunicazione della Chiesa con il mondo odierno. Gli interventi cercano di capire come mai la Chiesa, maestra di comunicazione, dopo venti secoli di storia, ora attraversa notevoli difficoltà di essere compresa soprattutto dai media. E’ interessante il contributo di monsignor Gianfranco Ravasi a proposito delle nuove tecnologie collegate a internet. Il prelato elenca i vizi e le virtù della comunicazione, a partire dal mezzo televisivo e via via tutti gli altri divenuti “protesi” dei nostri organi di conoscenza, a cui è stato permesso di andare oltre le loro capacità naturali”.
La cultura elettronica si è ulteriormente evoluta, “si è passati – scrive Ravasi – a una sorta di ambiente globale e collettivo, un’atmosfera che non si può non respirare, neanche da parte di chi si illude snobisticamente di sottrarvisi”.L’ingresso dell’informatica nella nostra vita ha generato una nuova grammatica del conoscere, del comunicare e dello stesso vivere. Quindi per Ravasi, la rete con la sua moltiplicazione di dati, può portare all’anarchia intellettuale e morale, cioè al relativismo agnostico, all’apparente democratizzazione della comunicazione, imposta dalla globalizzazione informatica. Sempre nella rete per Ravasi c’è il rischio di piombare in una comunicazione ‘fredda’ e solitaria che esplode in forme di esasperazione e di perversione. Uno studioso americano, Perry Barlow ha osservato che con la moltiplicazione dei computer e delle antenne paraboliche,“la gente si è chiusa nelle case e ha abbassato le serrande. In pratica lo spostamento verso la realtà virtuale e verso i mondi mediatici, ha favorito la separazione delle persone con la morte del dialogo vivo e diretto nel villaggio.
Questo è il realismo critico di Ravasi dei nuovi socialnetwork, ma subito si premura a scrivere che questo non significa pessimismo dell’impegno, soprattutto per il credente e il religioso. Le sfide dei nuovi media bisogna affrontarli con fiducia e coraggio. Bisogna fare come S. Paolo ad Atene, che è entrato in quel che è “il primo aeropago moderno”. L’apostolo Paolo aveva attuato il primo grande progetto di inculturazione del cristianesimo ricorrendo a un linguaggio e a un’attività missionaria pronta a usufruire delle risorse offerte dalla cultura greco-romana del tempo, dalle sue tecniche oratorie, dalle vie di comunicazione dell’impero, dagli ambiti della polis e dalla forza della parresìa, la libera diffusione del pensiero”. Già Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio del 1990, riconosceva che ormai è in corso una “nuova cultura” che nasce, “prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi messaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici”. Il Papa era convinto che i mezzi di comunicazione sociale erano ormai per molti diventati il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Pertanto bisognava integrare il messaggio cristiano in questa ‘nuova cultura’ creata dalla comunicazione moderna.
Pertanto è necessario acquisire un sapere specifico, possedere la grammatica e la sintassi della nuova comunicazione per la nuova evangelizzazione. Monsignor Ravasi si augura che nella stessa formazione scolastica dei sacerdoti si introduca una presentazione ideale e operativa dei nuovi mezzi comunicativi.
Termino con le parole di Paolo VI: “Bisogna saper essere antichi e moderni, parlare secondo la tradizione ma anche conformemente alla nostra sensibilità. Cosa serve dire quello che è vero, se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono?”.
DOMENICO BONVEGNA
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