La domanda è sorta spontanea, sprovvista di provocazioni premeditate, una necessità espressa a bassa voce “Tu come hai usato il tuo tempo? E che fai affinchè altri non abbiano a sprecarlo?”. Sembrano domande banali, talmente è inusuale chiederci qualcosa sul tempo, il suo significato e senso ricercare. Eppure è il tempo che scandisce le nostre attese, speranze, il nostro futuro se saremo capaci di approfittare di quanto ci sarà concesso.
E’ un perfetto sconosciuto, un ospite fastidioso, una presenza non sempre gradita, ci costringe a correre o rallentare, a farci a pugni quando non vogliamo aspettare e la fretta irrompe da cattiva consigliera. Non ne comprendiamo il valore, il ruolo, sebbene lo abbiamo incarcerato, ammanettato, ingabbiato in ogni suo minuto e per tutte le sue ore, quasi a volere magnificare la convenzione stipulata con il nemico più grande: quell’ignoto che ci incute timore, a volte persino terrore. Il tempo non è una semplice contrattualità, una comoda veduta panoramica, neanche un tour nel paese delle meraviglie. E’ un compagno di viaggio, lo diventa nell’abbraccio fiero, nella mano che stringe la tua, e non è una cartolina illustrata di altri tempi, gettati dietro le spalle, quasi non ci fosse storia sufficiente a raccontarci chi siamo stati, chi siamo, senza più respiro alla nuca per mantenerci all’erta su quanto sarà domani, manco fossimo agli antipodi della nostra origine ontologica, quello stare insieme che il tempo ha rafforzato, nonostante i cedimenti ed i tradimenti. Un grande signore il tempo, un grande terapeuta, autorevole e onesto, restituirà fino all’ultimo cent di quanto sarai stato capace di dargli, non ci saranno ammanchi né detrazioni. Il tempo è amico che non molla, non teme gli agguati della memoria corta, è spinta in avanti, lavora ai fianchi, urla e scuote quando è urgente esser presente. Sulla strada i passi contano i suoi minuti, gli accessi, le fermate, è un artista che sa disegnare, dipingere con mille colori la vita di ognuno. Bisogna fare attenzione e coglierne il senso quando scrolla le spalle, fa rumore di ogni silenzio, è necessario camminargli a fianco con cura, quando ciò avviene riusciamo a sganciare la zavorra, i pesi insistenti, i carichi pendenti, pagati troppe volte con pochi denari.
Lasciamo alle spalle i deliri di onnipotenza, dell’incultura, dell’illegalità, della presunzione di esser il più furbo, i deliri di commiserazione con cui scambiamo di posto, di abito, di nome le ansie e lo stress, avversari formidabili di un tempo azzoppato dall’incuria mascherata di tante e troppe cose da fare. Usarlo al meglio possibile, è tempo di Avvento, di un Bimbo che nasce, dove ognuno di noi riconosca nel suo profondo quel Bambino, ne divenga padre anche quando padre non ha mai potuto essere, non ha mai voluto essere. E’ tempo di nascita nuova, di rinnovamento dentro le parole, i gesti, gli stili di vita, è tempo di silenzio e di una promessa potente perché finalmente chiara, di quelle da mantenere e portare a compimento: amare quel Bambino, significa amare il tuo prossimo come fosse te stesso, agire che non è sogno irraggiungibile, ma amore che veste i panni del rispetto di guardare al tempo che ci è consentito, nella gioia di quel Bimbo che nasce, come a qualcuno che è vicino a noi, e spesso sta peggio di noi, a un palmo dal nostro naso, ma non lo vediamo.
Vincenzo Andraous