PRIME DONNE, Lidia Poet

Comincia qui il nostro viaggio attraverso le storie delle prime donne: donne che per prime hanno svolto una professione o si sono distinte in un campo di tradizione maschile. Mai le loro battaglie sono state facili e indolori. Ostilità e pregiudizi hanno rallentato le loro conquiste, ma non le hanno fermate. Non le hanno indebolite. Anzi, rinvigorite. Era il 26 agosto 1855: a Traverse, nella Val Germanasca, nasceva Lidia Poet da una agiata famiglia valdese. Il padre Giovanni Pietro era il sindaco del comune e la madre, Marianna Richard, apparteneva ad una famiglia di ricchi proprietari terrieri.Molte delle notizie che abbiamo sulle battaglie di Lidia sono attinte ai libri e agli opuscoli a lei appartenuti e oggi conservati presso la Biblioteca civica “Alliaudi” di Pinerolo, testimonianza diretta della molteplicità dei suoi interessi culturali e sociali.
Dopo aver trascorso l’infanzia a Traverse, Lidia si trasferì a Pinerolo. Frequentò le scuole consentite ad una ragazza di buona famiglia e conseguì il diploma di maestra. Di “temperamento vivace, spirito libero e mente critica”, Lidia decise di iscriversi, cosa eccentrica per l’epoca, alla Facoltà di Legge di Torino. Il padre cercò di dissuaderla, ma la determinazione della figlia prevalse: alla fine, sarebbe stata una fanciulla nutrita di studi e questo non avrebbe danneggiato il destino di una ragazza di buona famiglia il cui obiettivo doveva essere comunque solo quello di far un buon matrimonio. Ma Lidia vedeva le cose diversamente. Discusse brillantemente la sua tesi -che tracciava la storia delle origini del femminismo ed affrontava le problematiche legate ad un tema molto dibattuto in quegli anni, il diritto di voto alle donne- conseguì, prima donna in Italia, il diploma di laurea in giurisprudenza, il 17 giugno 1881, e non si fermò qui: voleva lavorare. Dopo due anni di praticantato a Pinerolo nello studio dell’avv. Bertea e, dopo aver superato gli esami per diventare procuratore legale, chiese l’iscrizione all’Albo degli avvocati e procuratori, suscitando polemiche perché si trattava del primo caso presentatosi nel Regno d’Italia. La richiesta di Lidia scatenò un dibattito generale che coinvolse magistrati e giuristi e giunse anche al Parlamento. Il procuratore del Re presso la Corte d’Appello di Torino si oppose fermamente all’iscrizione della Poët con la seguente motivazione: “il titolo e l’esercizio di avvocato non è ammissibile, per l’unico ma essenziale motivo che il titolo e l’esercizio di avvocato non possono essere assunti a tenore di legge dalle donne”. La Poët non si fermò e presentò un articolato ricorso alla Corte d’Appello, quindi alla Corte di Cassazione di Torino che rigettò nuovamente la sua richiesta. Non appena i nuovi tempi e le nuovi legge glielo permisero, Lidia presentò nuovamente la richiesta di iscrizione all’albo. Si riaccesero le opposizioni che solo la tenacia della Poet vinsero: nel 1920, ormai sessantaquattrenne, Lidia fu la prima avvocata d’Italia. Fin ad allora Lidia non aveva potuto quindi di fatto esercitare a pieno titolo la sua professione. Ella aveva affiancato il fratello Enrico, avvocato a Pinerolo, dedicandosi soprattutto alla difesa dei diritti dei minori, degli emarginati e perorando la causa del suffragio femminile.
Non si era comunque fermata: era entrata a far parte del Segretariato del Congresso Penitenziario internazionale e in seguito avrebbe rappresentato l’Italia come vicepresidente della sezione di diritto; partecipò a diversi congressi che si tennero nelle principali città europee: Parigi, Bruxelles, San Pietroburgo; fu nominata dal Governo francese Officier d’Académie, e allo scoppio della prima guerra mondiale entrò nella Croce Rossa, ricevendo, a riconoscimento della notevole opera di assistenza prestata, una medaglia d’argento. Non si sposò, non ebbe figli. Morì a Diano Marina il 25 febbraio 1949 all’età di 94 anni e venne sepolta nel cimitero di San Martino, in Val Germanasca.

Anna Paola Franzì