Qualche momento è corso via da quella fumata bianca, da quel “buonasera” pronunciato da un amico incontrato dopo tanto tempo. Pochi attimi e l’Uomo è venuto avanti parlando del bene da fare senza ulteriore indugio per vincere il male, sfuggendo le parole comprate al banco della pietà per ottenere una cittadinanza del mondo per lo più da ricostruire con onestà e amore.
Ricordo che me ne stavo lì senza pensare al toto papa, alle scommesse, alle probabilità per questo o quell’altro conduttore-testimone delle scelte profeticamente umane, come delle erranze esistenziali. In quel nome c’è stato più di quanto il cuore desiderava, un passo indietro per farne cento in avanti, Francesco è il nuovo Papa, come colui che tanto tempo fa scosse la Chiesa dalle sue fondamenta, quel giovane con le mani strette a pugno, e adulto con la spada, con il sangue, con le parole scagliate senza amore né onore. Quel Francesco che osa dare le spalle alla sorte, alle eredità consolidate, alle verità nascoste nei colpi di maglio, quel Francesco poverello, ma che poverello non è stato mai, ricco assai più ricco delle tasche perennemente vuote. Quel Francesco rivolto alla luna e al sole, all’uomo e alla natura, è nuovamente su quello spalto, su quella terrazza, sopra ogni testa, rinnova la storia che fa propria, dentro una preghiera sottovoce, in punta di piedi. Abbiamo il Papa, stavo per dire il Papa buono, come lo fu un altro, come lo furono chi più, chi meno, tutti gli altri, ma su quel più e quel meno c’è a fare da ponte la resistenza e la capacità dell’umanità, che non sarà mai imbrogliata dagli eventi costruiti a misura, dagli accidenti scivolati giù da qualche palcoscenico.
Francesco è fratello lupo, non viene meno alla vita neppure da addormentato, due lupi che non si sbranano, invece s’incontrano ogni volta e si annusano, si mettono in cammino, compagni di viaggio; quanto lasciano dietro non sono segni incomprensibili di una grammatica sgangherata, ma punteggiatura visibile, contabile, sommabile, orme digitali due passi alla volta, si muovono prima, durante e dopo, senza prestare i fianchi alla disattenzione, eretti a mezzo e di traverso alle tante diaspore, alle troppe ritirate, alle opere di bene raccontate comodamente dai comodi rifugi, dove di accettabile non c’è nulla, neanche le ribellioni, le rivolte, le fughe da una giustizia ridotta a professarsi senza fissa dimora, perennemente ubriaca di promesse mai mantenute.
Papa Francesco è la Chiesa, forse non basta più la sola coerenza, occorre la generosità che fu di quel “Lupo Franscesco”, come ti sei voluto chiamare, il quale ci manda a dire ancor oggi quanto l’umiltà non possa sposarsi con l’imposizione, soprattutto quando quest’ultima giunge da quella Istituzione che a sua volta dovrebbe farne buon uso, come a noi stessi è stato chiesto, e continua a essere richiesto.
Vincenzo Andraous