Debutta stasera alle ore diciannove al teatro antico di Tindari, con repliche nei giorni 31 maggio e 2, 4, 6 e 8 giugno, lo spettacolo “Alcesti” da Euripide tradotto da Filippo Amoroso. La drammaturgia e regia sono di Walter Pagliaro, le musiche di Germano Mazzocchetti. Gli interpreti sono Micaela Esdra (nella foto) nelle vesti della protagonista e poi Luigi Ottoni, Marina Locchi, Diego Florio e Ilario Greco. “Alcesti – afferma Pagliaro – si colloca in quella civiltà di vergogna e di colpa, fortemente sessuofobica, in cui l’evoluzione della società e della religione, aumentano innegabilmente, ansia e paura”. Secondo la mitologia Alcesti era la più bella delle figlie del re Pelia. La principessa aveva deciso di rifiutare le nozze e di diventare sacerdotessa di Apollo a Delfi. Il padre, assecondando la volontà della fanciulla, impose una prova impossibile per darla in sposa: per avere la mano della figlia, un uomo avrebbe dovuto domare un leone e un orso, legarli allo stesso giogo e condurli intorno alle mura della città. Nessuno dei pretendenti riusciva nell’impresa, fino a quando Admeto, re della Tessaglia, giunse nella città di Pelia. Il valoroso guerriero, con l’aiuto di Apollo, superò la prova e ottenne il diritto di sposare Alcesti e di condurla con sé al suo palazzo nella città di Fere dove Apollo era stato costretto da Zeus a vivere per un anno sulla terra, come servo presso Admeto. Il dio Apollo, dopo aver soggiornato come servo per dodici mesi presso Admeto, apprezza la bontà del giovane ed in cambio della generosa ospitalità ricevuta gli promette, grazie alle sue competenze di Dio Peana (“ Guaritore ”), di salvargli la vita quando sarà minacciato dalla morte, a patto che ci sia un’altra persona che si sacrificherà al suo posto. Giunto il momento, il vecchio padre Ferete e la madre rifiutano il sacrificio per la salvezza del figlio; l’unica a offrirsi è la sua sposa, Alcesti, che tuttavia chiede al marito la fedeltà anche dopo la sua morte. Il dramma di Euripide inizia proprio da qui e viene introdotto con l’efficace contrasto, esposto nel prologo, tra Apollo e Thanatos: il primo abbandona il palazzo prima dell’arrivo di Thanatos per non essere contaminato, il secondo irrompe, armato di spada, per reclamare la salma sottratta alle parche. Del resto tutta la tragedia è costruita come una serie di agoni tra due personaggi. La vicenda di Alcesti si risolve, tuttavia, come in una favola, con il lieto fine, insolito per una tragedia. La donna accetta di morire per salvare il suo sposo, ma nel palazzo arriva Eracle, diretto in Tracia, e chiede ospitalità. Nonostante il lutto ed il dolore Admeto non viene meno ai suoi doveri di ospitalità ed accoglie Eracle. Questi apprende da un servitore del sacrificio della regina ed in segno di amicizia verso Admeto si reca alla tomba della sua sposa, lotta vittoriosamente contro Thanatos e gli strappa Alcesti che riconduce, muta e velata, alla reggia presentandola ad Admeto come il “premio supremo” da lui vinto in una tenzone. “Prendimi questa donna, e custodiscila, sin quando, ucciso dei Bistoni il re, con le cavalle tracie io qui non rieda". E se sciagura me cogliesse – ma tornerò, tornerò – te ne fo dono, ché ancella sia nella tua casa.”. Admeto è riluttante, ma poi accetta con fatica (Mi piego! Ma non fai cosa a me grata ); a quel punto Ercole, soddisfatto, togliendo il velo dal volto della donna, rivela la sua identità. Admeto è incredulo, ma Ercole lo rassicura che è la sua sposa quella che lui vede. Contento Admeto invita Ercole a restare con loro e di sedere alla sua mensa, ma l’eroe rifiuta: “Al mio ritorno. Adesso ho fretta. Addio. “ Admeto esulta: ” Vivi felice; e a noi rivolgi il passo al tuo ritorno. E ai cittadini tutti indíco, e ai quattro regni, che per questa prospera sorte, danze istituiscano e canti, e l’are fumino di vittime. Verso piú dolce vita ora moviamo: ché non lo nego: io sono, io son felice!”
La vicenda di Alcesti si risolve, dunque, come in una favola, con il lieto fine, insolito per una tragedia.
Giuseppe Di Stefano