di Silvana Paratore
I recenti e purtroppo quotidiani fatti di cronaca in cui alla descrizione delle sconvolgenti e brutali notizie di violenza sulle donne, non segue l’indicazione di ciò che accade ai colpevoli, induce a ritenere fondamentale soffermarsi sulla necessità di sanzioni maggiormente dissuasive per gli uomini che pensano di poter disporre delle donne come di un bene proprio. Occorre intervenire nel modo più intransigente possibile, a livello normativo, contro le aggressioni di qualunque tipo (aggressività fisica, psicologica e verbale) ai danni delle donne, con delle pene severissime che fungano da reale deterrente in grado di scongiurare il ripetersi di questi episodi. Ben si comprende come la causa principale del fallimento dei matrimoni è proprio la violenza. Un matrimonio su tre, finisce per le botte, per le violenze fisiche e psicologiche, per i continui sorprusi. La violenza “in famiglia è un fenomeno crudele, di particolare gravità che mina l’intera società” perché accade proprio nel “luogo più sicuro per antonomasia, a presidio della persona, deputata al raggiungimento della protezione della solidarietà dei suoi membri. E’ora di dire basta. E’ inammissibile pensare di poterLa fare franca su presupposti di presunte incapacità naturali e/o legali degli autori delle violenze, sulle loro menzogne atte a nascondere simili comportamenti o sulla apparente convinzione dell’incapacità delle vittime, di poter dimostrare atti di violenza psicologica, di insulti continui e di sorprusi. Nel caso di soggetti psicologicamente disturbati che pongono in essere atti di violenza, la responsabilità è da far risalire alle famiglie di origine che non hanno adeguatamente attenzionato e curato i figli destinandoli a diventare autori di reati di violenza fisica, psicologica o verbale. La maggior parte delle volte, queste stesse famiglie pur consapevoli della malattia del proprio figlio, lo giustificano, non lo contraddicono per la paura di attentati alla loro integrità psicofisica poco importandosi del male che questo soggetto provoca alla propria donna, compagna, moglie, fidanzata che sia, la quale nelle migliore delle ipotesi, sprofonda in uno stato di forte sgomento, terrore, depressione, shock che ne condiziona inesorabilmente il futuro. Fondamentale è che siano predisposte adeguate forme di punizione anche quindi, per quanti siano, direttamente o indirettamente responsabili di simili stati di cose. Perché è alquanto riduttivo giustificare la violenza subita da una donna con espressioni dal contenuto vuoto, sterile, inutile o da bugie volte a nascondere la realtà degli accaduti. Sicuramente alla base delle forme di violenza sulle donne c’è una importante disfunzione emotivo-mentale dell’uomo, dinanzi ai primi segnali della quale, è importante che la donna si allontani cercando di spazzare il ciclo della violenza ed il suo crescendo insopportabile all’interno del rapporto di coppia. Il valore aggiunto della Convenzione di Istanbul, in materia, è proprio il riconoscere la violenza sulle donne come violazione dei diritti umani e forma di discriminazione. Il trattato, sottoscritto dall’Italia nel settembre 2012 ed in attesa di ratifica, è di ampia portata, contemplando, nel suo obiettivo di contrasto al fenomeno, misure per la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime e i procedimenti penali per i colpevoli. E’ difficile sicuramente accettare di essere stati vittime di atti di violenza psicologica e fisica da parte di colui che si è amato profondamente e si è considerato essere la persona della propria vita, della quale fidarsi ciecamente e con la quale volere invecchiare insieme.