A questa domanda abitualmente si cerca di rispondere ogni volta che accade qualcosa di clamoroso che vede più o meno coinvolti uomini e donne appartenenti a cultura islamica. Come in questi giorni dopo l’ennesima strage del supermercato a Nairobi in Kenia. Tutto è iniziato l’11 settembre del 2001 a New York, con il “colpo di gong” subito dal Paese più importante del mondo occidentale. Prima l’attenzione era rivolta all’annosa questione palestinese e poi da qualche anno anche alla conquista dell’Iran dei cosiddetti ayatollah di Khomeni. Tuttavia nonostante l’11 settembre, ancora non si riesce a capire quello che sta succedendo in quel mondo. Ha tentato di dare delle risposte ben articolate il sociologo delle religioni di Torino, professore Massimo Introvigne, in un veloce pamphlet (soltanto 151 pagine) del 2011 pubblicato da Sugarcoedizioni, “Islam. Che cosa sta succedendo?”. Il testo con uno stile semplice e discorsivo cerca di capire se le rivolte arabe del 2010 o 2011 sono il 1989 dell’Islam, anche se gli avvenimenti sono in continua evoluzione.
Nei primi capitoli il libro di Introvigne si occupa proprio della crisi profonda dei Paesi a maggioranza islamica, quali sono i principali attori delle rivolte, rivolgendosi alla fine l’attenzione ai fenomeni del terrorismo e dell’esodo degli immigrati.
La crisi del mondo arabo viene da molto lontano secondo Introvigne, e cita un libro di un professore della Duke University, Timur Kuran, di origine turca, uno dei maggiori studiosi mondiali di sociologia dell’economia. Il volume è abbastanza chiaro già nel titolo: “The Long Divergence. How Islamic Law Held Back the Middle East” (“La lunga divergenza. Come la legge islamica ha tenuto indietro il Medio Oriente”, Princeton University Press, Princeton- Oxford 2011, p. 301).
Infatti secondo lo studioso americano nonostante nei Paesi arabi ci siano le società per azioni e le borse, “la shari’a, non ha smesso di fare danni”. Secondo Kuran, c’è “una mentalità ostile alla crescita di una società civile distinta dallo Stato, e una diffidenza nei confronti di istituzioni private di grandi dimensioni che sole possono opporsi a uno statalismo che ingenera fatalmente inefficienza e corruzione”. Pertanto, per uscire fuori da questa mentalità, ci vorranno decenni, e soprattutto bisognerà diffondere la consapevolezza del “ruolo che la classica legge islamica ha avuto nell’impedire la modernizzazione organizzativa e nell’instupidire le imprese musulmane del Medio Oriente”. Kuran guarda positivamente al “miracolo” turco dove si è riusciti “a mantenere l’identità islamica, cambiando mentalità e marcia in campo economico e politico”. Prima di occuparsi delle rivolte, il libro di Introvigne descrive i “tanti Islam”, infatti non esiste un solo Islam. E soprattutto per Introvigne, “non esistono i musulmani moderati”,“percorrendo in lungo e in largo i Paesi a maggioranza islamica, dal Marocco alla Malaysia, non ne ho incontrato uno. Viceversa, in Italia ho avuto molte difficoltà a incontrare un musulmano che non si dichiarasse ‘moderato’, tanto che quando m’imbatto in qualcuno che nega apertamente di esserlo mi viene quasi da prenderlo in simpatia”. In pratica, i musulmani che vivono in Italia, hanno capito che per vivere tranquilli devono presentarsi sempre e comunque “moderati”. Per esempio un esponente dei “Fratelli Musulmani”, il movimento da cui trae origine gran parte del fondamentalismo islamico, in Italia si presenterà sempre come “moderato” in televisione, ma mai con questo aggettivo, in Egitto o in Giordania. Per Introvigne, la colpa di questa ambiguità, non è solo dei musulmani, ma di “buona parte della stampa che divide i seguaci dell’islam in due sole categorie: ‘terroristi e ‘moderati’”. Pertanto a molti musulmani non resta che dichiararsi “moderati”, per evitare di essere etichettati come “terroristi”. Pertanto “decodificare è la parola chiave, perché ‘musulmano moderato’ è usato alla rinfusa per un buon numero di categorie, creando una notevole confusione”. Qui Introvigne fa riferimento a certi intellettuali che vengono presentati come “musulmani moderati”, ma che non sono per nulla musulmani. A questo proposito fa il nome dell’ex parlamentare olandese, Ayaan Hirshi Ali, collaboratrice del regista assassinato Theo Van Gogh, donna coraggiosa che merita rispetto, ma che non si può considerare “musulmana moderata”, bensì atea, perche non crede in Dio e considera tutte le religioni pericolose. Tutti gli altri, spesso sono soltanto pensatori o politici rigorosamente marxisti o seguaci addirittura della massoneria anti-religiosa di matrice francese, che certamente non rispettano il digiuno del Ramadam, mangiano carne di maiale, bevono alcolici, e rivendicano il valore dell’islam come “eredità culturale”.“Sarebbe come presentare Marco Pannella o Emma Bonino al Cairo o ad Algeri come ‘cattolici moderati’ solo perché sono nati in Italia”.
Certo per quanto riguarda l’islam è facile ingannarsi, perché non ha un’organizzazione gerarchica, o una “Chiesa” che definisca in modo autorevole chi è dentro e chi è fuori dall’islam.
Il sociologo torinese dopo aver dichiarato che è difficile definire la caratteristica della moderazione, è convinto però che bisogna abbandonare la comoda ma ultimamente ingannevole etichetta “moderati”, anche se alcuni sono affezionati. Ritornando al tema dei tanti modi di essere islamici, divide in cinque categorie il miliardo e mezzo di musulmani nel mondo: ultraprogressisti, progressisti, conservatori, fondamentalisti e ultrafondamentalisti. Le prime due categorie che accettano la modernità come inevitabile, sono posizioni minoritarie, “quando si presentano alle elezioni – dove ci sono le lezioni – raramente le vincono”. Non sono in aumento anzi facilmente si trovano nei cimiteri dei Paesi islamici, mentre in Occidente li troviamo nelle università e nelle redazioni dei grandi giornali. “La buona notizia – per Introvigne – è che le idee della maggioranza dei musulmani nel mondo non sono neppure fondamentaliste o ultrafondamentaliste”. Tuttavia però “i fondamentalisti non sono, come spesso si dice, una piccola minoranza. Lo sono i terroristi ultra-fondamentalisti e i loro fiancheggiatori diretti – a cinquantamila a centomila musulmani: la maggiore massa d’urto nella storia del terrorismo mondiale ma lo 00,1% dell’islam nel suo complesso(…)” Mentre le organizzazione fondamentaliste possono contare su circa cinquanta milioni di adepti e simpatizzanti nel mondo (meno del 5% dei musulmani). Comunque sia secondo Introvigne la maggioranza dei musulmani, “non è né progressista né fondamentalista. Si situa fra progressisti e fondamentalisti e la parola più adatta per definirli è conservatori”. Con loro si può dialogare e come ha mostrato Benedetto XVI, la Chiesa cattolica è disponibile ad aprire un dialogo. Non finisce qui al prossimo intervento.
DOMENICO BONVEGNA
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