di Vincenzo Andraous
Migranti arrivano sopra barconi che stanno a galla per un qualche miracolo aerodinamico, questa volta, come altre volte, con un grave e drammatico tributo di vite umane, nella rincorsa di una libertà che comunque non ci sarà. Cecità del cuore e ottusità della mente, in troppi sanno tutto, hanno capito tutto, riescono a risolvere tutto in una sola parola, indifferenza. Migranti, profughi, stranieri d’accatto, una parte di umanità che non merita attenzione, nè possibilità di cambiamento, di trasformazione, unicamente la “necessità” di inseguirne le orme imprigionate alle onde, ai venti, alle stive, che allontanano ogni pietà. Migranti e letteratura ridotta a poco più di un fumetto, vite usate impropriamente da parolai in bella mostra, ma una cattiva accoglienza costringe a indossare abiti sdruciti, scarpe rotte, ferite insanabili che non consentono incontro né fratellanza, addirittura impongono di non dare alcuna scelta, fosse anche l’ultima, agli ultimi del pianeta: la scelta di morire con dignità, anche la morte è diventata non vedente, non udente, non sempre credibile.
Migranti e mare che ingrossa la fossa comune di superfice, ma non parla di quella al fondo, come a voler fare vergognare quella parte di umanità che non intende guardare per non dovere comprendere e condividere cosa sta accadendo, una mattanza continua, persistente, inarrestabile. Migranti e informazione che non racconta chiaramente l’indicibile, senza cura e rispetto della verità, quella che non sopporta manipolazioni, giustificazioni, che creano disincanto che deresponsabilizza. Migranti galleggiano senza più occhi, carne alle ossa, cenci alla deriva, “cose” che non avevano valore prima, ora anche meno, e pure la fatica della raccolta è un lusso, una spesa, per cui la compassione è modellata a contenitore di numeri, di quantità, di materiali avariati da smaltire in fretta, perché altre “cose” stanno per sopraggiungere tra le onde uniche compagne commosse. Uomini, donne e bambini sono avanzo da non più considerare, tenere a mente nelle carte processuali, anche quelle sono finite a mare, i colpevoli cambiano di posto, s’afferrano agli abiti degli altri, persino le parole non sanno più chiamare con il suo significato quanto sta accadendo: una carneficina. Dove i barconi arrancano, alle dita strette ai legni è sfuggita la speranza, il miracolo ha chiuso i battenti, non può dare di più, è rimasto senza più fiato né forza per salvare chi soffre e annega. Il presagio corre di generazione in generazione dove la storia si ripete nelle catene di schiavitù, nei mari inebetiti di violenza, nell’indifferenza che travolge le povertà più feroci e dimenticate. Stranieri, rifugiati, uomini e donne in fuga, la meta è la vita, il prologo è una continua emergenza, usata furbescamente per saltare un passo avanti, non dare conto di quanto accaduto ieri e accadrà domani, quando altri esseri umani saranno concessi come ostaggi a un problema tutto ancora da risolvere. Migranti costretti alla diaspora dai tiranni, dalle guerre, dalle intolleranze religiose, dalla paura che non è custode di alcun rispetto, anziani e bambini privati della possibilità di vivere. Finchè ogni uomo non saprà fare tesoro degli affanni degli innocenti che non hanno scelto le assenze, le scomparse, le morti sopraggiunte, a poco servirà voltarsi da un’altra parte per non farci i conti con questa terribile ingiustizia.