Questo mese ci tocca esaminare la “povertà” come uno dei pilastri della pace.
Di primo acchito l’accostamento della povertà con la pace sembra alquanto rischioso o addirittura controproducente se si considera che nel recente passato è stato più volte rimarcato che solo combattendo la povertà potrà sbocciare la pace.
Quel che sto per scrivere non nega la dimensione “politica” della lotta alla povertà sociale, tuttavia vuole provocare nel cuore di ogni uomo una presa di coscienza in vista di un nuovo stile di vita.
Basti pensare a quanto papa Francesco ribadisce dal primo giorno del suo ministero petrino: “Voglio una Chiesa povera”. Purtroppo la contraddittoria e debole testimonianza di noi cristiani, ha solo creato una “povera Chiesa”.
Fra i tanti suggerimenti della Scrittura, scelgo il brano di Giac 2,1-5 (in una versione leggermente modificata rispetto a quella ufficiale) che funge da cartina di tornasole per un discorso concreto e serio sulla povertà.
Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non siete divisi in voi stessi, non diventate giudici di sentenze inique? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri a giudizio del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?
L’apostolo rimprovera un andazzo che sta prendendo piede nella comunità cristiana basato sulla “considerazione sociale” che è inconciliabile con la fede, la quale non può mescolarsi a “favoritismi personali”. L’ultimo versetto (Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri a giudizio del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?)offre un aspetto inedito della “beata povertà”: poveri sì, ma ricchi nella fede.
E qui l’iniziativa libera, gratuita ed efficace di Dio sceglie non solo i poveri (esteriormente) ma pure coloro che lo amano. Secondo questo brano – a differenza di quanto avviene nel mondo – Dio “elegge” i poveri perché ha sempre agito così.
La portata di questa affermazione è rivoluzionaria: solitamente si eleggono le persone più in vista, capaci, affidabili, distinte, per farle diventare rappresentanti politici, sociali, religiosi … ma il criterio di Dio è ben diverso e per rendersi conto di ciò basterebbe spulciare il libro dei salmi e scorgere l’immagine di Dio che ascolta la preghiera del povero, rende giustizia agli oppressi, soccorre i miseri…
In un certo qual senso, il salmista traccia la strada sicura da percorrere per diventare “artigiani della pace”.
Se – al contrario – siamo sempre più divisi fra noi, discriminiamo i poveri e li giudichiamo secondo criteri iniqui, neghiamo la scelta che Dio ha operato su ciascuno di noi. Questo riferimento non è così generico come potrebbe sembrare.
La nostra carta costituzionale sancisce la sostanziale uguaglianza di tutti i cittadini, mentre certo populismo proclama campagne di lotta perché la pari dignità e opportunità sia effettivamente riconosciuta a tutti, ma don Milani – da oltre 50 anni – ricorda che “non c’è cosa più ingiusta del fare parte uguali fra disuguali”. Fra questi ultimi si devono annoverare i poveri.
Operare per la pace comporta la consapevolezza di essere stati scelti come “stolti, deboli, ignobili e disprezzati” (tutti sinonimi di “poveri”) per confondere “i sapienti e i forti” (Cfr. 1 Cor 1,27-29).
La povertà (esteriore e interiore) non crea divisioni, ma spalanca nuovi orizzonti alla instaurazione del regno di pace.
Ettore Sentimentale