LA CRISI DELLA VIRILITà NEL MASCHIO ITALIANO

Sicuramente la crisi economica ci sta logorando ma esiste un altro tipo di crisi forse ancora più devastante, la crisi antropologica, la Chiesa ce lo ricorda sempre. L’uomo moderno da molto tempo ha perso i riferimenti ideali a cui ispirarsi, in particolare l’uomo inteso come maschio. Infatti non sono pochi i maschi che non sanno più chi sono, qual è il loro ruolo, il loro posto nel mondo. Capita spesso incontrare uomini depressi, insicuri, ansiosi. Uomini che sperimentano un senso di inadeguatezza, sia in famiglia che sul lavoro. Uomini che si sentono paurosi, timidi, deboli, fino ad arrivare all’impotenza, alla riduzione del desiderio sessuale. In fondo c’è una crisi della virilità, lo scrive Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta, in un ottimo volumetto, “Quello che gli uomini non dicono”. Sottotitolo: La crisi della virilità”, Sugarcoedizioni (2011, Milano). Nella storia dell’umanità, quella della virilità, è una crisi inedita per il professore Marchesini, non era mai accaduto. Non c’è vita facile per gli uomini, pare che la civiltà sia femminile e la barbarie maschile. “Tutto ciò che ha un vago odore di virilità suscita disgusto e disprezzo. Sembra che meno testosterone c’è in giro, meglio è”. Per essere apprezzati oggi gli uomini devono essere liberi dai conflitti, attenti ai sentimenti, in pratica un uomo non virile, quasi castrato. Marchesini fa riferimento alle scuole svedesi dove i bambini pare siano obbligati a fare la pipì seduti sul water, anziché in piedi, perché sarebbe antigienica, volgare e naturalmente maschilista. Mentre nelle scuole elementari, sono state proibite una serie di espressioni ritenute offensive e discriminatorie, come,“comportati da uomo”. Come non ricordare nel 2008 una campagna pubblicitaria del fotografo Oliviero Toscani per il settimanale Donna moderna. Due bambini nudi (Mario e Anna) sotto l’immagine, si poteva leggere: “Carnefice” e “Vittima”. “Mario futuro carnefice, perché maschio; Anna, futura vittima perché femmina”. Il messaggio è abbastanza chiaro, il maschio è sempre e comunque un carnefice, fin da piccolo, dipende dal Dna, aveva detto il noto fotografo. Addirittura Marchesini sostiene che l’unico ruolo che forse potrebbe avere oggi l’uomo è quello del fuco o il maschio dell’ape, o meglio del maschio della mantide religiosa, che viene divorato dalla femmina, dopo l’accoppiamento. Pertanto sembra che oggi la società non ha più bisogno della virilità e della presenza del padre, che a volte viene visto come un intralcio dal punto di vista educativo. Pare che le competenze educative sono prerogativa esclusivamente femminile; mentre la paternità viene vista come una maternità imperfetta, una genitorialità deviata. Eppure oggi più di ieri è necessaria la presenza educativa del padre. “Solo il padre – scrive Marchesini- può insegnare che nella vita è necessario rischiare, osare; per la madre, infatti, il pericolo non è divertente, è solo pericoloso. Quanti adolescenti e giovani vivono chiusi nella loro camera, terrorizzati dalle relazioni, dalle sfide e dalle richieste che il mondo pone loro? Quanti si relazionano ormai solo attraverso il filtro di uno schermo?” Marchesini cita Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, che riconosce al padre una grande funzione educativa: è quello che pone un limite, che insegna a soffrire, a pagare, alle rinunce. “Il padre testimonia che c’è qualcosa di più importante di sé”, che la vita vada vissuta con uno scopo, con onore. “Se non c’è nulla per cui valga la pena spendere la vita, la vitata vale nulla”. Spesso nelle nostre famiglie manca il padre, manca il ruolo paterno, e addirittura gli stessi padri svolgono un ruolo materno. “La nostra società ha devastato paternità e virilità”, secondo Marchesini. Mentre la violenza aumenta, tra l’altro, dalle statistiche si può leggere che negli Stati Uniti, la maggior parte degli omicidi, e degli stupri commessi da adolescenti, sono tutti detenuti cresciuti senza padre. I ragazzi che hanno comportamenti violenti a scuola, molti di questi sono cresciuti senza padre. La presenza del padre pone dei limiti agli impulsi istintuali e violenti. La questione dell’emergenza educativa ormai accettata da tutte le analisi degli specialisti, forse non pone l’accento sull’assenza del padre all’interno delle famiglie. “Un’altra emergenza –secondo Marchesini- è costituita dall’aumento dei genitori sempre più insicuri e deleganti (agli insegnanti, agli esperti, agli psicologi), incapaci di gestire i loro bambini maleducati, pretenziosi, incontentabili, capricciosi. Sono genitori incapaci di tollerare un pianto, di restare fermi sulle proprie posizioni (…)”. A volte pare che ormai nelle famiglie italiane non esistono più le regole, anzi l’unica regola rispettata è quella di non avere più conflitti, e per questo si sacrifica anche il bene dei bambini. Pertanto “il bambino senza limiti, che ha come unica regola il proprio desiderio, è un bambino che vive in un mondo senza ordine, caotico; un mondo spaventoso, che rende il bambino insicuro e inadeguato di fronte alle avversità e ai pericoli della vita”. Tuttavia Marchesini non intende sostenere che solo il modello paterno sia giusto, mentre quello materno sbagliato, sono entrambi giusti, necessari e si completano a vicenda. Peraltro, “la diversità, le differenti sensibilità materna e paterna non sono in contrasto, ma si integrano, aggiungendo l’una ciò che manca all’altra”. In pratica sia la paternità che la maternità sono complementari. Nel libro il professore Marchesini sostiene che ha bisogno maggiore virilità anche la nostra società, come emerge dal 41° Rapporto Censis sulla situazione sociale del nostro Paese che ha descritto la società italiana con le parole “poltiglia di massa”, “mucillagine”, costituita da “ritagli umani”, che sono attratti dall’arricchimento facile con mezzi facili” anziché dal lavoro, dal “credito al consumo” anziché dal risparmio, sono guidati da “pulsioni” e ossessionati dall’apparire. E’ un ritratto che ha tracciato qualche anno fa per certi versi anche il capo dei vescovi italiani monsignor Angelo Bagnasco, dove vedeva una società italiana immersa in un divertimentificio ad oltranza, con passatempi apparentemente innocui, che stanno abbrutendo le persone, in un disimpegno nichilista. Non abbiamo forse creato una società “di bambini viziati, di Peter Pan, un “paese dei balocchi” abitato da tanti Lucignolo dediti al divertimento senza responsabilità?” Si chiede Marchesini. Tra l’altro i “nuovi diritti”, di cui si parla tanto, non sono forse fondati, non tanto su quelli della natura umana, ma sui “desideri, portandoci a quella “dittatura del desiderio” più terribile di qualsiasi altra?” Tolto di mezzo il padre-grillo parlante, che ci ricorda il sacrificio, la pazienza e la perseveranza, non abbiamo più strumenti per affrontare il dolore e la morte. Ci stiamo vergognando del nostro passato, non facendo più riferimento alla nostra Storia alla nostra Religione. Siamo costretti a vergognarci della forza di quei grandi uomini, di quei santi che in passato ci hanno difeso sacrificandosi per noi, rischiando o perdendo la propria vita. “Li abbiamo disarmati della croce e della spada, – scrive Marchesini – li abbiamo costretti a vergognarsi della loro forza, li abbiamo obbligati a chiedere perdono. E adesso siamo inermi, in balia di chiunque”.

DOMENICO BONVEGNA
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