Giovanni Paolo II dopo più di quattro secoli è il primo papa straniero chiamato ad assumere la responsabilità del governo della Chiesa universale e quindi della Chiesa italiana e di Roma in particolare. All’inizio del suo pontificato ha compiuto un gesto significativo, quello di rendere omaggio ai santi patroni d’Italia, Francesco d’Assisi e Caterina da Siena recandosi ad Assisi e alla tomba della santa che si trova a Roma. “Il Papa vuole sentirsi italiano anche nelle forme di pietà legate al nostro paese, e perciò si reca subito al santuario mariano della Mentorella, nei pressi di Roma” (Antonio Scornajenghi, L’Italia di Giovani Paolo II, San Paolo, 2012).
Fin dall’inizio del suo pontificato,“stimola un cattolicesimo di popolo”, scrive Andrea Riccardi, recandosi frequentemente ai santuari.“Lui diceva che bisogna respirare l’aria dei santuari e dei santi per capire lo spirito di un popolo; aveva in mente ‘una carta geografica del mondo’”. Pregava spesso spostandosi mentalmente di santuario in santuario.“Davanti alla tomba di santa Caterina, il papa riafferma la volontà che l’Italia diventi la sua ‘seconda patria’. Egli desidera ‘far parte di essa in tutta la sua ricchezza storica”.
Il libro di Scornajenghi mi sembra originale perché si concentra sulle problematiche nazionali, utilizzando fonti inesplorate, in particolare, quelle orali e quelle archivistiche. Giovanni Paolo II da subito si fece un’idea sull’Italia, che si tradusse in un progetto, in una proposta che non fu immediatamente compresa e accettata, dentro e fuori della Chiesa. Di fronte a una certa stanchezza del cattolicesimo italiano, il papa polacco, invitò i vescovi e i laici a “partecipare attivamente alla ricostruzione del tessuto civile della nazione, fondato sui valori etici dell’umanesimo cristiano”. Egli, scrive Scornajenghi, “non voleva che i cristiani rinunciassero a interpretare un forte ruolo sociale, ed era convinto che il paese dovesse rifondarsi sulla sua identità di fede, da molti secoli fattore fondante della nazione, senza averne vergogna, nel rispetto pieno della laicità e della democrazia. Il cattolicesimo popolare, con tratti devozionali ‘antichi’, non era per Wojtyla in contrasto con l’aggiornamento conciliare. Al contrario, i due aspetti si illuminavano a vicenda. La fede dei santuari, dei pellegrinaggi, le espressioni vecchie e nuove di pietà non erano retaggio del passato ma un patrimonio da valorizzare ed evangelizzare”. Successivamente al convegno di Loreto nel 1985, il “programma” wojtyliano per l’Italia, si sarebbe precisato e delineato meglio attorno all’obiettivo della riconciliazione. Il papa incoraggiava alla collaborazione e al superamento delle divergenze, e chiamava all’incontro per un progetto condiviso. Il cambiamento della società per papa Wojtyla non si opera attraverso la politica, ma con una vasta azione religiosa, sociale e culturale. Giovanni Paolo II diventa papa in anni di crisi e di mutamenti sociali nel costume abbastanza profondi: l’introduzione del divorzio nel 1970 (la successiva vittoria dei no al referendum abrogativo del maggio 1974), l’introduzione dell’aborto nel maggio 1978 e la successiva vittoria dei no al referendum del maggio 1981, sono gli elementi più ostili da affrontare. Uno storico francese, Jean Delumeau, in questi anni bui per la Chiesa, scrisse un libro col titolo emblematico, “Le christianisme va-t-il mourir” (il cristianesimo sta per morire) dove viene descritto un cristianesimo minoritario, elitario, avverso a forme di presenza pubblica, “espresso prevalentemente dalla vita individuale di credenti inseriti in diversi ambienti sociali e senza forti legami tra loro”.
Il libro di Scornajenghi mette in evidenza il rapporto privilegiato e i legami che ha il papa polacco con l’Italia, basti vedere i suoi 144 viaggi nella penisola. Per Wojtyla il popolo italiano è “destinatario e custode privilegiato dell’eredità degli apostoli Pietro e Paolo: un’eredità squisitamente spirituale, vale a dire culturale, morale e religiosa insieme (…) In più di un’occasione il Papa difende l’unità del paese, non tanto richiamandosi all’eredità risorgimentale, quanto facendo appello proprio all’eredità spirituale e alla tradizione cristiana dell’Italia, una e indivisibile. Dopo un’accoglienza positiva, i media hanno cominciato a criticare il papa polacco, in particolare per le sue posizioni chiare contro l’aborto e il comunismo. Sono sufficienti poche battute sulla difesa della vita in ogni sua fase, sulla tutela della libertà di coscienza dei medici,“ministri della vita e mai strumenti di morte”, a scatenare una vibrante polemica da parte della stampa laica, che invita a riconsiderare i pareri positivi manifestati subito dopo la sua elezione. Allora vengono fuori i soliti stereotipi che attribuivano al nuovo papa i connotati di conservatore o di progressista, di destra o di sinistra. Anzi l’intellighentia progressistoide conoscendo l’uomo che aveva guidato la diocesi di Cracovia, non si facevano illusioni, sulla sua salda dottrina in materia di divorzio, aborto etc. Tuttavia la delusione di certi ambienti per le posizioni del papa appaiono minoritarie di fronte al sentire popolare. “I commentatori rilevano la corporeità del nuovo papa e la sua forte comunicativa”. Wojtyla comincia a “scendere tra la folla, firma autografi, chiama i fedeli fratelli e sorelle, anziché figlie e figli”. Il papa sfugge a qualsiasi classificazione. Comincia a viaggiare e si colgono le novità: il viaggio come un nuovo strumento per la missione. La meta prediletta sono come ho scritto sopra, i santuari. C’è un bellissimo saggio di Renzo Allegri, “Papa Wojtyla, pellegrino di Maria”, edizioni Medjugorie, Torino, 2004, qui l’autore racconta la storia di alcuni santuari e cerca di “scoprire” le ragioni profonde che hanno indotto il Papa a fare il pellegrino di Maria. “Giovanni Paolo II è il Papa filosofo, poeta, drammaturgo, mistico, sportivo, ma è anche il Papa della grande devozione mariana che ha espresso spesso facendo il pellegrino. Forse nessun altro devoto della madonna, ha visitato tanti santuari mariani quanti ne ha visitati Papa Wojtyla”. Ogni viaggio del Santo Padre diventa una sorta di visita pastorale, secondo il responsabile del servizio vaticano dell’”Osservatore Romano”, Gianfranco Grieco, si può parlare di un “pontificato dell’incontro”. In ogni viaggio il richiamo frequente è quasi sempre ai martiri, testimoni del messaggio cristiano, sull’esempio di questi cristiani, morti per la fede, il papa invita i fedeli a imitare la loro vita. Altro richiamo frequente è quello di recuperare il patrimonio cristiano e la necessità di irradiarlo nel mondo intero. Giovanni Paolo II non si rassegna all’idea della secolarizzazione inevitabile (tanto viva nella Chiesa italiana e tra i vescovi), lotta con grande decisione contro quest’idea. A questo punto Wojtyla lancia la “Nuova evangelizzazione”, che da un lato , sollecita un’intensificazione dell’attività missionaria, dove non è ancora conosciuto il Vangelo. Dall’altro lato la nuova evangelizzazione avrebbe dovuto immettere linfa vitale nelle Chiese di antica cristianità, specialmente in Europa, dove Dio scompariva dalla vita pubblica.
Alla prossima per utilizzare la biografia su Giovanni Paolo II del grande teologo cattolico, George Weigel, grande amico di Papa Wojtyla.
DOMENICO BONVEGNA
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