“La Polonia non credeva ai propri occhi, quando Karol Wojtyla su un automezzo scopertobianco-giallo attraversò le vie di Varsavia. Una pioggia di petali scendeva giù dalle case, e la gente era quasi traumatizzata dalla commozione, aveva solo voglia di piangere”, così Gian Franco Svidercoschi, conversando con Stanislao Dziwisz, nel libro, “Una vita con Karol”, (Rizzoli, 2007), inizia a descrivere la prima visita di Giovanni Paolo II nella sua Polonia. Mentre l’aereo si avvicinava alla pista di atterraggio, il papa era teso, emozionato e parlava talmente piano che si faceva fatica a sentirlo, scrive monsignor Dziwisz. Era il primo Papa che metteva piede in un Paese comunista, era il 2 giugno 1979, L’Europa e il mondo era ancora spezzato in due, con un confronto tra le superpotenze, Usa e Urss, che si reggeva di fatto sull’equilibrio del terrore e sulla paura reciproca che scoppiasse un conflitto nucleare. Il Cremlino aveva fatto di tutto per impedire che Giovanni Paolo II tornasse in Polonia. “Quest’uomo porterà solo guai!”, aveva detto Breznev, effettivamente fu poi proprio così per il potere comunista. Intanto il regime polacco “era terrorizzato dall’idea che la visita pontificia potesse coincidere con le celebrazioni del IX centenario del martirio di Stanislao” e così fu spostata la data della visita.
Il papa celebrò la prima Messa in piazza della Vittoria, dove il regime svolgeva le principali manifestazioni. La presenza di una marea di gente, fu un vero “terremoto”, un evento esplosivo; il cardinale Konig a commento della visita, disse “il sistema apparentemente indistruttibile – che per più di trent’anni aveva esercitato un dominio assoluto, imponendo il suo ‘credo’ ateistico – adesso doveva assistere, muto e impotente, al crollo simbolico della sua ideologia, del suo potere e, si potrebbe perfino dire, del suo ‘fascino’”. Davanti all’immensa folla, Giovanni Paolo II, disse: “l’esclusione di Cristo dalla storia dell’uomo è un atto contro l’uomo. Senza di Lui non è possibile capire la storia della Polonia…” Dalla folla, arrivò un applauso, durato più di dieci minuti. “Un appaluso che sembrava un boato. Sempre più potente. Sempre più polemico- scrive Svidercoschi – Un applauso la cui eco arrivava sicuramente molto lontano”. Dopo cinque anni di occupazione nazista e trentatrè di egemonia comunista, che avevano negato alla polonia la sua storia e la sua cultura, ora , il papa polacco, figlio della Polonia, “avrebbe restituito ai suoi connazionali quello che gli apparteneva a loro per diritto di nascita”, scrive George Weigel. Tutto il viaggio, il “pellegrinaggio”, come lo chiama Papa Wojtyla, rappresenta una riappropriazione della storia della Polonia. Lasciata la capitale politica, Giovanni Paolo II raggiunse Gniezno, dove sono conservate le reliquie di Sant’Adalberto, il primo evangelizzatore della Polonia. E’ questo “il vero inizio del suo pellegrinaggio polacco – scrive Weigel – lungo ‘il percorso della storia della nazione’, da Gniezno a Cracovia, passando per Czestochowa e le reliquie di san Stanislao”. Il 3 giugno, giorno della Pentecoste, il Papa polacco, faceva rivivere “…un’esperienza pentecostale, che coinvolgeva l’intero mondo slavo e la sua storia recente e metteva in discussione la divisione dell’Europa operata a Jalta”. Il 4 e 6 giugno si è recato a Jasna Gora, dove c’è il santuario della nazione alla Madonna Nera, qui era il luogo in cui si imparava davvero che cosa era la Polonia e che cosa erano i polacchi. Chiunque desideri “sapere come interpreta la storia il cuore dei polacchi… deve venire qui”. La Chiesa non reclamava “privilegi”, ma soltanto la libertà religiosa, indispensabile per lo svolgimento della sua missione evangelica e morale. Ricordando il documento del Vaticano II sulla libertà religiosa, il papa chiedeva la normalità di perseguire la verità secondo i dettami della coscienza, per ciascun individuo. Mentre allo Stato ricordava, che esso esisteva per servire la società e non viceversa. “La vita, la testimonianza e la morte di san Stanislao per mano di un potere arbitrario, avevano innestato nel tronco della storia e della cultura polacca una grande verità: le leggi promulgate dallo Stato devono rispondere alla legge morale inscritta da Dio nella natura e nel cuore dell’uomo”, e questa è una “legge vincolante per tutti, sia per i sudditi sia per i governanti”. Ricordando il martirio di san Stanislao, papa Wojtyla, imponeva ai polacchi di pensare a se stessi, ma in un contesto europeo, non certo in quello espresso dalla “Cortina di ferro”. Nonostante le diverse tradizioni esistenti nei vari territori europei, tra quelli orientali e occidentali, “vi è in esse lo stesso cristianesimo”, che ha origine dallo stesso Cristo, è proprio qui che stanno le radici della storia d’Europa. “L’unione dell’episcopato polacco, da oltre un millennio al servizio della nazione e della sua unità, doveva ora essere posta al servizio di una responsabilità ancora più grande: “il cristianesimo deve ‘nuovamente impegnarsi nella formazione dell’unità spirituale dell’Europa. Le sole ragioni economiche e politiche non sono in grado di farlo. Dobbiamo scendere più in fondo: alle radici etiche”. In Polonia c’è “cultura solo a partire dai mille anni di cristianesimo: voler cancellare quella realtà storica significa attentare all’integrità della nazione e distruggerla”, scrive Alain Vircondelet, nella sua biografia su Giovanni Paolo II, (Lindau, 2005) Pertanto,“il comunismo viene così denunciato come tirannico e la sua azione assimilata a un genocidio culturale”. Il papa ricordava ai comunisti che stanno depredando la Polonia, la quale è esistita prima di loro. In pratica il Santo Padre a Jasna Gora, secondo Weigel, aveva posto se stesso e la Chiesa contro la divisione dell’Europa effettuata a Jalta nel 1945.“Col passare dei giorni, il viaggio diviene profondamente rivoluzionario – scrive Vircondelet – Giovanni Paolo II attraversa il paese seminando libertà; in un certo modo, la polonia viene nuovamente battezzata o cresimata nella sua fede”. Pertanto quest’uomo “minacciava alle fondamenta l’intero edificio comunista, proprio perché ricorreva ad armi nei cui confronti il comunismo era molto vulnerabile”. Ecco perché due anni dopo cercarono di liquidarlo il 13 maggio in piazza S. Pietro a Roma. Il 6 e il 10 giugno nella sua Cracovia, ma prima la visita ad Auschwitz, “il Golgota del mondo contemporaneo”. Qui conclude il suo pellegrinaggio davanti a forse tre milioni di fedeli, più di quanti se ne fossero mai riuniti in tutta la storia polacca, rivolgendosi al suo popolo, disse: “Dovete essere forti, carissimi fratelli e sorelle! Dovete essere forti della forza della fede…”. GergeWeigel, conclude il capitolo dedicato al viaggio del papa in Polonia con “Una lezione di dignità”, “tredici milioni di polacchi, più di un terzo della popolazione del paese, avevano visto il Papa da vicino (…) In nove giorni la polonia aveva vissuto ‘un terremoto psicologico, una catarsi politica di massa’ (…) Giovanni Paolo II aveva detto le cose che i polacchi sapevano da decenni, ma che non potevano esprimere in pubblico”. Lo ha detto in polacco bello e nobile, non nella lingua imbalsamata della Polonia comunista. Il Papa più volte aveva ribadito di voler fare un pellegrinaggio e dunque gli effetti dovevano essere quelli spirituali, che si percepirono subito nel modo di comportarsi dei polacchi.“Il comunismo aveva promesso la solidarietà fra le masse e aveva prodotto l’atomizzazione, il malumore e la sfiducia. Giovanni Paolo II aveva portato quello che i ‘compagni’ avevano promesso ma che non avevano mantenuto, e aveva cominciato a ricucire le lacerazioni che essi avevano deliberatamente alimentato”.
Alla prossima.
DOMENICO BONVEGNA
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