Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi

di Ettore Sentimentale

Nella Pasqua di risurrezione abbiamo celebrato la liberazione dal peccato e dalla morte come evento fondante che obbliga tutti i cristiani a “uscire” dalle varie schiavitù e li fa andare verso la luce che illumina e rischiara il cammino di ogni uomo, Cristo Gesù.

La Pasqua cade sempre all’inizio della primavera, tempo nel quale la natura ritorna a vivere in una esplosione di nuovi colori e nuovi germogli. È il momento propizio per abbandonare le vecchie abitudini e proiettarci in un nuovo slancio vitale. A tale operazione bisogna premettere l’impegno deciso a comprendere e quantificare la “durezza di cuore” (cfr. Sal 95) che impazza nella nostra vita. Per questo specifico passaggio la Bibbia ci racconta in modo plastico le ricadute del cuore indurito, allorché il faraone trova una banale scusa per soffocare ancora di più gli ebrei: “Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni, come facevate prima. Andranno a cercarsi da sé la paglia. Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano finora, senza ridurlo” (Es 5,7s).

Penso sia necessario soffermarsi su questa “prassi oppressiva”, perché – seppur in altro modo – questo andazzo continua da parte di numerosi “caporali” presenti in tutti gli ambiti della società.

Sgombero il campo da qualsiasi vena di vittimismo e dico che strutturalmente la nostra società è frutto della dialettica asimmetrica fra “uguali” e “più uguali”. Illuminante a tale riguardo l’aforisma di don Lorenzo Milani: “Non c’è nulla di più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali” (Lettera a una professoressa). Non è certo uno spettacolo edificante quello offerto dalla latitanza di troppe persone che stanno a guardare, rassegnate e risonanti del solito ritornello: lascia perdere, nulla cambierà.

Ovviamente, se nessuno oserà parlare chiaramente, la situazione rimarrà sempre uguale. Anzi peggiorerà. Almeno ai tempi di Mosé – stando al racconto di Es 5, 15s – vi era qualcuno che protestava: “Allora gli scribi degli Israeliti vennero dal faraone a reclamare, dicendo: "Perché tratti così noi tuoi servi? Non viene data paglia ai tuoi servi, ma ci viene detto: "Fate i mattoni!". E ora i tuoi servi sono bastonati e la colpa è del tuo popolo”.

Se non si avverte alcuna forma di sviluppo e crescita (ecclesiale, economica, sociale, politica…) dipende dal fatto che la situazione nella quale ci troviamo ormai impantanati piace a tanti, forse a troppi, perché nessuno rischia di perdere il pane, la visibilità, l’influenza che esercita occupando quel posto.

Certo c’è il rischio (come accadde a Mosé) di essere accusati di aggravare la situazione, già complicata. Mi consola però sapere che Dio non farà gridare notte e giorno i piccoli che supplicano per essere liberati. Il Signore decide sempre di aiutare il suo popolo e per far questo dona una forza speciale ai suoi inviati i quali, sicuri dell’iniziativa di Dio, intervengono sui fratelli (nella bibbia si dice “il popolo”) perché si rendano conto di come per molti anni siano stati buggerati con promesse, contentìni, sogni…elementi fortemente narcotizzanti. Il sonno indotto prima o poi finisce e si scopre di essere stati troncati proprio dalle suddette illusioni. Il risveglio, metafora di risurrezione, sa un po’ dell’esperienza di cui parla il salmista: “Siamo sfuggiti come un uccello / dalle trappole dei cacciatori, / il laccio si è spezzato / e noi siamo fuggiti “ (Sal 124).
Mentre scrivo queste righe, in sottofondo ascolto un emozionante canto in lingua “Hegoak” e ho la fortuna di avere accanto Michel Oronos, un amico esperto in lingua e letteratura basca nonché autore di innumerevoli pubblicazioni nell’idioma di S. Ignazio di Loyola al quale chiedo aiuto per comprendere bene il testo.

Con tratto delicato e voce sommessa mi dice che il canto in questione, attraverso la metafora delle ali (“hegoak”) spezzate ad un uccello, ripresenta la drammatica storia del suo popolo.

Le parole della composizione canora formano un breve testo che mi sembra opportuno trascrivere per intero:

“Se gli avessi tagliato le ali
sarebbe stato mio
non sarebbe più partito
ma così non sarebbe stato più un uccello
ed io è proprio l’uccello che amo!”

Carissimi, queste parole fanno venire i brividi, non tanto perché invitano immediatamente pensare alle tristi vicissitudini di una minoranza a cui sono state tarpate le ali, quanto perché aiutano a rileggere il dramma di atteggiamenti contemporanei errati e devastanti. Papa Francesco puntualmente ritorna su questi argomenti, dicendo apertamente che sulle questioni che riguardano la coerenza e la correttezza del cristiano nei confronti dei fratelli non si prevedono sconti.

Nessun segmento della società può sentirsi esonerato dalla intuizione profetica del canto: Chiesa, famiglia, politica, economia, finanza, scuola…tutte sono invischiate nell’operazione “taglio delle ali” seppur con modalità diverse. Non è molto bello vedere come nel popolo di Dio esista questo sistema di “taglio di ali” ai fratelli con macchinose manovre. E quello che più addolora è dato dalla paralisi istituzionalizzata di uomini e strutture (culturali, ecclesiali, pastorali…), onde evitare che il controllo sfugga di mano.

Mi fermo a fare qualche altra considerazione di ampio respiro.

Quando priviamo qualcuno della propria libertà per averlo sempre accanto a noi (quasi a volerne fare un cagnolino da compagnia), rischiamo di perdere proprio il “quid” per il quale gli abbiamo voluto bene… idee politiche, religiose, particolare stile di vita. Così facendo vengono meno i presupposti dell’amore. San paolo scrive: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal 5,1). Chiaramente Gesù aveva a cuore solo il nostro bene e non quello di “incatenarci” con subdole operazioni di facciata.

In altre parole, se amiamo una persona dobbiamo lasciarla libera di perseguire gli ideali che l’hanno resa cara al nostro cuore. La realtà che ci circonda, invece, presenta ben altre prospettive. E purtroppo non serve a nulla piangerci addosso.

Mi viene in mente lo slogan del vescovo Gaillot – come ben sapete è stato invitato da un gruppo di laici a tenere degli incontri dal 26 al 29 c.m. nel nostro territorio – letto in un suo piccolo scritto: “Fin quando si ha paura, non si è liberi. Ma quando si è liberi, questo fa paura”.

Viviamo della libertà che il Cristo ci ha donato e testimoniamola a tutti con la nostra vita. Annunciamo che la libertà dei figli di Dio è molto più grande delle meschinità di chi vuole “incatenarci” nelle solite prospettive (tu potresti fare, però…) e denunciamo senza mezzi termini i giochi di potere, ai quali tante volte prestano il fianco i cristiani paurosi. Costoro pensano che il vivere in modo alternativo sia una strada senza sbocchi.