Mt 13,1-9
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: "Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti".
di Ettore Sentimentale
Con il cap. 13, l’evangelista Matteo inaugura la sezione dedicata alle parabole, ben sette solo in questo capitolo (il seminatore, il grano e la zizzania, il granello di senape, il lievito, il tesoro, il mercante di perle, la rete gettata nel mare). Il brano odierno ci presenta la prima – nella versione ridotta – da collocare dentro l’intera pericope (vv. 1-23), secondo quanto previsto dalla liturgia domenicale.
Prima di proporre il commento mi sembra opportuno e utile spiegare brevemente il genere letterario della “parabola”. Ciò servirà anche in seguito. Diversamente da quanto comunemente si pensi, la “parabola” non è un modo di esprimersi chiaro e immediato. Anzi, nella Bibbia il termine ebraico “māšāl” (tradotto poi con “parabola”) indica diversi generi letterari: proverbio, sentenza, detto sapienziale, similitudine, oracolo, enigma… L’altro aspetto che mi sembra vitale è comprendere il funzionamento della parabola. Su questo particolare si può trovare una immensa bibliografia e spunti vari. Io mi rifaccio a 2 Sam 12, ove viene presentata la parabola di Natan contro Davide e il pentimento di quest’ultimo. La prima parte è il racconto, molto coinvolgente, attraverso il quale il profeta descrive come il ricco (che possiede bestiame grosso e minuto) lascia sul lastrico il povero (che ha una sola pecorella piccina). Alla reazione adirata di Davide, Natan affonda il colpo e chiarisce la realtà prefigurata nel racconto (“quell’uomo sei tu”). Alla fine della parabola emerge la reazione di Davide (“ho peccato”) e di tutti coloro che leggono la Bibbia. In fondo la parabola ha come finalità quella di fare scattare una risposta davanti a un fatto che riguarda direttamente il modo di agire nei confronti di Dio e del prossimo. Da ciò si capisce come le parabole evangeliche non esemplificano la comprensione del testo, ma rimandano sempre a un approfondimento personale attraverso una racconto apparentemente banale. Comincio la mia riflessione partendo dalla fine del brano proposto: “Chi ha orecchi, ascolti”. Su quale punto della pericope dobbiamo concentrare l’ascolto? Sul seminatore? Sul seme? O sui differenti terreni?
Per tanti anni ci si è soffermati a riflettere sulle diverse tipologie di suolo che accolgono il seme, per evidenziare la capacità di ascolto del Vangelo dei cristiani. Una scelta molto interessante. In questa sede, però, vorrei soffermarmi particolarmente sul seminatore e sul suo modo di seminare. D’altronde è la prima cosa di cui parla il testo: “Il seminatore uscì a seminare”. Lo fa con estrema fiducia, diffusamente. Il seme cade dappertutto, anche laddove sembra impossibile possa crescere. Sicuramente Gesù ha dinnanzi agli occhi il gesto dei contadini della Galilea (dal contesto appare chiaro che la scena si svolge vicino il Lago di Tiberiade che si trova nella suddetta regione) che seminano anche vicino ai viottoli e su terreni quasi aridi. Alla gente che ascolta non è difficile riconoscere il seminatore. Così Gesù semina il suo messaggio. Ogni mattina “esce” ad annunciare la Buona Novella di Dio. Semina la sua parola fra la gente che la riceve e pure fra gli scribi e i farisei che la rifiutano. Mai si ferma. La sua semina non sarà sterile. Come reagiamo oggi a questo racconto? Tante persone (anche fra il clero) sballottati dalla crisi religiosa pensano che il vangelo abbia perso la sua energia originale e che il messaggio di Gesù non riesca ad attrarre più tanti uomini e donne come in altri tempi.
Il Vangelo ricorda a tutti che non spetta a noi tirare bilanci e conclusioni che provengono dal mondo dello spettacolo. Oggi più che mai è tempo di tornare a seminare senza scoraggiarci, con maggiore umiltà e verità. Non è la Parola (il seme) che ha perso forza, ma siamo noi seminatori (particolarmente i predicatori) che la stiamo annunciando con una fede debole e vacillante.
Non è Gesù (il seminatore) che ha perso il potere di attrarre, ma siamo noi che lo snaturiamo con le nostre incoerenze e contraddizioni.
Desidero chiudere con un accenno all’evangelizzazione (qualche anno addietro si parlava di “nuova evangelizzazione” , poi l’aggettivo è caduto in disuso). Evangelizzare non è propagare una dottrina, quanto mediare in mezzo alla società e nel cuore delle persone la forza umanizzante e salvatrice di Gesù. E questo non lo si può fare in qualsiasi modo. La cosa più importante non è il numero di predicatori, catechisti, animatori etc… ma la qualità evangelica di quanto i cristiani annunciano. Cosa trasmettono? Indifferenza o fede convinta? Mediocrità o passione per una vita più umana?