La Chiesa, il sesso e i seminari…

di ANDREA FILLORAMO

L’ultima intervista, rilasciata a questo giornale, che aveva per tema la pedofilia dei preti si concludeva con la seguente considerazione di don Mazzi: “Andrebbero aboliti i seminari. L’errore inizia da lì. Il seminario che è l’istituzione cattolica in cui i ragazzi in età da liceo studiano e si preparano a diventare sacerdoti è un luogo che castra, non è un luogo naturale. La preparazione non va fatta nei seminari. La formula da allevamento nel pollaio – non è al passo coi tempi”. Molte sarebbero le cose da dire a commento di questa affermazione di don Mazzi. E’ certo che i seminari in questi ultimi decenni sono cambiati. I seminari minori, un po’ dappertutto, non esistono più ma esistono i preti che in tali seminari si sono formati e che portano ancora su di sé le conseguenze di quella educazione data. Nel seminario che mi ha accolto appena undicenne e nel quale sono stato per ben tredici anni, non vi era una chiara intenzionalità educativa che avrebbe dovuto tradursi in interventi riconducibili ad un efficace progetto atto a garantire la serenità, la socializzazione e lo sviluppo ottimale, nonchè un buon equilibrio socio-relazionale e la crescita integrale della persona. "Educare la persona nella sua integralità” non può che voler dire educare in senso positivo ed esplicito tutte le dimensioni, inclusa anche la dimensione "sessuale". La sessualità, lo sappiamo, è una caratteristica fondamentale dell’uomo e di ogni uomo, che parte sì dalla sua realtà corporea e si estende però a tutta la sua persona: noi siamo sessuati in tutto ciò che siamo e che facciamo, anche nella vita spirituale e nella preghiera. Mascolinità e femminilità sono due principi universali della persona. Essi insieme rendono completa l’"immagine" di Dio nell’umanità (Cfr. Gen. 1)… Quindi, come tutto il corpo, anche la sessualità in tutti i suoi aspetti, compreso quello corporeo, è un grande dono. Per il Cristianesimo, essa partecipa addirittura della "sacralità" stessa del corpo: Gesù e Maria erano realmente maschio e femmina… Educare alla sessualità… E’ questo quindi un dovere di ogni educatore. Educare alla sessualità vuol dire educare ad essere se stessi con la propria identità, superando i tabù, ed ad avere rapporti costruttivi col "diverso da sé". Con i termini generali “educare alla sessualità” comprendiamo vari temi e varie discipline connessi all’educazione. In modo particolare, ci riferiamo ai ragazzi in periodo di maturazione sessuale e, quindi, alla conoscenza dell’anatomia e della fisiologia dell’apparato genitale, dei cambiamenti che avvengono durante quell’età, della psicologia, delle problematiche di tipo morale, delle curiosità e, perciò, di tutto ciò che abbraccia tutti gli aspetti del comportamento sessuale umano. Educare alla sessualità, quindi, garantisce una crescita “globale” dei ragazzi e una loro crescita normale. E’ questo un aspetto fondamentale e importantissimo che non può essere assolutamente trascurato e che, se trascurato, può portare conseguenze gravissime nella vita dell’intera persona. Purtroppo in seminario non mi è stata impartita alcuna educazione sessuale Non si teneva conto, perciò, che l’educazione sessuale durante la mia adolescenza, cioè nel periodo dei rapidi cambiamenti, in cui dovevo affrontare notevoli difficoltà, non ho avuto, quindi, nessun sostegno, nessun supporto, nessun aiuto, nessuna informazione utile a vivere e gestire la mia sessualità e affrontare e risolvere tutti i problemi connessi. I problemi connessi credo che fossero i problemi di tutti i ragazzi, anche se non vivevano nei seminari.
Quelli che dovevo affrontare e risolvere erano i problemi di tutti i ragazzi della mia età e non erano solo problemi che riguardavano la maturazione fisica ma erano una grande quantità di problemi psicosociali: l‘indipendenza, lo sviluppo delle capacità di entrare in rapporto con i coetanei, l‘elaborazione di principi etici applicabili, il desiderio di acquistare una competenza intellettuale, un aumentato senso di responsabilità personale e sociale, e molte altre questioni di ugual peso. Mentre subivo questa complessa serie di difficoltà connesse allo sviluppo, dovevo anche imparare a gestire il variare sensazioni sessuali e a distinguere il sentimento d‘amore dagli altri stati d‘animo. Ciò, però, non poteva avvenire in quanto, essendoci una frequentazione solo maschile, mancava la possibilità di fare esperienze affettive con l’altro sesso. Questa indubbiamente è stata una grande carenza. Del resto non poteva essere se non così. Ciò per due motivi. Il primo è dato dal fatto che il seminario doveva preparare ad una vita celibataria. Il secondo motivo è quello che la Chiesa, diciamolo pure, è stata sempre, almeno nel passato, sessuofobica. Nessuno si stupisca dell’assenza di un’educazione sessuale non solo nel mio seminario ma in tutti i seminari del mondo. Non poteva, del resto, essere diversamente; ci trovavamo in una istituzione sessuofobica, che dava seguito alla “dottrina” della Chiesa, che aveva un’avversione morbosa per tutti i fenomeni riguardanti la vita sessuale, in cui, gli istinti sessuali erano da ritenere impuri, capaci di asservire lo spirito e allontanare dalla salvezza. Questa concezione si traduce in una “ precettistica” molto rigorosa. I precetti della Chiesa cattolica, infatti, che riguardano la sessualità sono numerosissimi, e dettano prescrizioni su praticamente ogni aspetto della vita sessuale: dalla masturbazione ai contraccettivi, dal sesso prematrimoniale alle relazioni omosessuali. La Chiesa proibisce ogni relazione sessuale che non avvenga all’interno del matrimonio e che non sia destinata alla procreazione, ed esalta la castità come strumento per avvicinarsi a Dio. Tentiamo di fare un veloce excursus storico-teologico di questa visione sessuofobica della Chiesa. Già nei primi secoli l’influsso delle culture con cui il cristianesimo è venuto in contatto ha depositato sull’originario messaggio biblico una patina di pessimismo e di svalutazione della sessualità e della corporeità; ciò è diventato vistoso nella letteratura patristica. Agostino non dà spazio per una valutazione positiva del piacere: esso è condannato, o nel caso della procreazione, tollerato. Gregorio Magno assumerà in pieno la testi agostiniana di condanna del piacere e la trasmetterà a tutta la tradizione seguente. Di fatto dopo Agostino la discussione sulla morale sessuale si restringe alla questione della peccaminosità del piacere. Sulla stessa scia Pietro Abelardo, in cui troviamo il riconoscimento della naturalità della ricerca del piacere sessuale, ovviamente nel matrimonio. San Tommaso d’Aquino che considera il seme maschile come un omuncolo; conseguentemente, in lui e in altri teologi dell’alto medioevo si giunge alla condanna della masturbazione come peccato di aborto, cioè come uccisione di esseri viventi. Date queste premesse, dato il fatto che venivo privato di un’educazione sessuale, per me la sessualità non diventava, come doveva essere, un gioco, una relazione, una comunicazione, uno scambio di piacere e, non ultimo, un momento privilegiato dell’intimità ma un’attività ritenuta peccaminosa. Il rischio era quello che tale attività umana vissuta in modo ossessivo, potesse fare diventare "dipendenti". E’ questo un disturbo che viene definito come “ipersessualità”, in inglese "sex addiction" o "sex dependance”. Parliamo ovviamente di rischio e non affermiamo che tutti i preti soffrono di questo disturbo della personalità, Da osservare che i sesso-dipendenti non sono coloro che si prodigano in scappatelle più o meno concesse ma coloro che si privano o sono privati di quel piacere che fa parte della vita di ogni persona. Spesso sono persone che elaborano molti moralismi e con disgusto dichiarano la loro estraneità a tutto quel che gira intorno al sesso, ma questo non è dovuto ad una loro vera scelta ma piuttosto ad un disagio che non riescono a rivelare nemmeno a se stessi. In realtà si tratta di affamati di amore. L’ostacolo principale alla presa di coscienza di soffrire di questo serio disturbo è l’incapacità di riconoscerlo come tale. Da mettere in evidenza, inoltre, che Il rifiuto fobico del sesso, facilmente razionalizzato, nel senso che viene giustificato con motivazioni di ordine religioso e morale, dà forma in genere a individui immaturi, che mai raggiungono un equilibrio psico-sessuale. In seminario tutto, quindi, concorreva a reprimere l’istinto sessuale e non si pensava che la repressione della sessualità, quando è priva di sublimazione, crea disagio sociale ed emotivo in chi è costretto a subirla. Ritengo interessante la considerazione di don Enzo Mazzi quando afferma che bisognerebbe intervenire sul "disprezzo" per la sessualità che spesso è diffuso tra il clero, e dunque sul seminario, luogo nel quale questo "disprezzo" nasce e si sviluppa. Accettare questa opinione, significa affermare che il cammino formativo dei seminari tende a "congelare" la sessualità, e, quindi, a bloccare il naturale sviluppo sessuale dei ragazzi-seminaristi. Se esso non si recupera, a fatica e da soli dopo, si rischia di diventare adulti con una sessualità ferma al periodo puberale o adolescenziale o, addirittura, con specifiche patologie sessuali. Ormai è accertato, infatti, che l’avversione sessuale esprime sempre marcate difficoltà emotive verso il sesso in condizioni psicologiche e psicopatologiche che coinvolgono estrema ansietà, sentimenti di terrore, attacchi di panico e manifestazioni somatiche. La Chiesa impone che chi vuol fare il prete deve rinunciare, vita natural durante, ai piaceri della carne per rendersi oltretutto meritevole di ricompense dopo la morte. Ciò – diranno – è affermato dal Codice del Diritto Canonico nel canone 277, nei paragrafi 1 e 2, in cui c’è scritto: «I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini. (Canone 277, paragrafo 1 del Codice di diritto canonico). «I chierici si comportino con la dovuta prudenza in rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l’obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli. » (Canone 277, paragrafo 2 del Codice di diritto canonico). Secondo Salvatore Natoli, docente di filosofia teoretica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, la Chiesa ha formulato i propri precetti nel contesto di una fase storica ben determinata, quella in cui ha vissuto Cristo, ma ha commesso l’errore di assolutizzare e difendere ostinatamente la dottrina senza più badare alla sua adeguatezza rispetto alle trasformazioni sociali: “ Il Cristianesimo ha trasformato in un assoluto quello che è solo un passaggio della civiltà”.