Non cadere nella tentazione di “adulterio spirituale”

di ANDREA FILLORAMO

Papa Francesco non si è affatto risparmiato, ancora una volta, di “sferzare” i vescovi. Lo ho fatto aprendo, nella Basilica Vaticana, il “Sinodo straordinario sulle sfide della famiglia”, con le seguenti parole: “Anche per noi ci può essere la tentazione di ‘impadronirci’ della vigna, a causa della cupidigia che non manca mai in noi essere umani”, “cupidigia di denaro e di potere. E per saziare questa cupidigia i cattivi pastori caricano sulle spalle della gente pesi insopportabili che loro non muovono neppure con un dito”. Che Papa Francesco intenda purificare la Chiesa, iniziando dai vescovi, è cosa chiara e nota da tempo e il fine che si propone l’ha espresso nella veglia per l’apertura del Sinodo organizzata dalla Conferenza episcopale italiana: “Dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire ‘l’odore’ degli uomini d’oggi” perché altrimenti “il nostro edificio resterebbe solo un castello di carte e i pastori si ridurrebbero a chierici di stato”. Egli, quindi, non ama, quelli che lui chiama i “chierici di stato”, vescovi cioè che “stanno” comodamente seduti nel loro “seggio episcopale”, simbolo di un potere che non è di servizio, che non hanno avuto esperienze pastorali, che usano l’arroganza, la prepotenza, che utilizzano la maschera vescovile per nascondere le loro debolezze o inefficienze umane. Egli interviene anche con atti concreti. Nomina, per esempio ben 107 vescovi, ai quali presenta il suo modello di pastore: “Essere leader a servizio”, “avere l’odore delle pecore”, non cadere nella tentazione di “adulterio spirituale”, quando un vescovo pensa a una diocesi diversa da quella in cui si trova”. Tra questi si nota un tratto comune: molti hanno solide e lunghe esperienze pastorali nelle parrocchie, e questo sembra essere uno dei requisiti essenziali per vescovi che sappiano “ascoltare, camminare, consolare il popolo di Dio”. Più parroci e meno professori? Più pastori d’anime e meno “ appaltatori” di Chiese o “ collocatori “ e distributori “ di benefici ecclesiastici, come nei lontani tempi del feudalesimo? Sembra finalmente proprio di si. In questa opera di “ ricostruzione” di Papa Francesco, non fermiamoci, quindi, all’annuncio del 23 settembre 2014 quando è stato comunicato che “ In Vaticano è stato arrestato l’ex nunzio Jozef Wesolowski, sotto inchiesta per pedofilia” In quel caso si tratta di un delitto molto grave e il Papa ha fatto bene a farlo arrestare dopo averlo ridotto allo stato laicale. Mi riferisco ai molti casi di vescovi che il pontefice ha dimesso per “indegnità” o “ incapacità” dalle diocesi e, in corso, a quel che si dice ce ne sono altri. Si tratta di quanti – volendo usare ancora le parole del pontefice – non percepiscono l’odore degli uomini. Essi amano “ crogiolarsi” dentro la tipica mentalità clericale e non abbandonano quella formazione deficitaria ricevuta nel seminario. Per chiarire questo concetto occorre fare una premessa: la nostra esistenza è legata e dipende dai nostri valori, dal modo di intendere la vita. Noi siamo i produttori delle teorie, delle convinzioni con cui ci relazioniamo, interagiamo, comunichiamo e contribuiamo a portare delle modifiche nel comportamento, nel modo di pensare e nelle credenze. La nostra vita, quindi, è in risultato della formazione che abbiamo avuto. La formazione non è un insieme di nozioni contenute in un cassetto ma al contrario è il risultato di un piano formativo organico che tende a strutturare, solidificare e rinforzare in maniera completa. Ma, quale formazione è stata data nei seminari che molti vescovi e preti non hanno mai abbandonato? La formazione data era quella che scaturiva da un progetto secolare che distribuiva il compito educativo a diversi livelli o ‘strati’ tra loro relativamente indipendenti. Il primo livello era quello dell’uomo ‘naturale’; seguivano: la dimensione genericamente religiosa, la formazione del credente e, infine, del discepolo impegnato nella sua figura vocazionale. Così facendo si perdeva di vista la persona nella sua globalità e unità, determinata proprio dalla sua umanità, luogo in cui convergono tutte le sue varie componenti. Non si forma il prete senza formare contemporaneamente l’uomo e il credente, solo allora la formazione diventa vera. Un’altra osservazione mi preme fare. Nel Sinodo si parlerà della famiglia. Molti vescovi e molti preti, ai quali è stato “ proibito” di avere una propria famiglia, sono chiamati a discutere e a decidere “ nel nome di Cristo” sui problemi che la famiglia oggi deve affrontare. Come fanno se non hanno conoscenza diretta della famiglia, se non per sentito dire o per aver letto solo trattati “ cattolici”? Speriamo che essi abbiano almeno superato quei “complessi”, dovuti al “distacco” forzato, fatto credere volontario dalle loro famiglie, in un momento tanto delicato della fanciullezza e dell’adolescenza allorchè sono andati in seminario. Altrimenti come possono essi aiutare le giovani generazioni a formare delle famiglie se a loro è stata rubata la famiglia e non ne conoscono le dinamiche? Se non sono passati positivamente attraverso la crisi epocale che vive ogni nucleo familiare? Non si richiede a loro la perfezione, ma l’autenticità sì; autentico è chi riesce a far corrispondere il suo volto esterno al suo cammino interno. Speriamo che quello che non riusciranno a fare i vescovi lo faccia lo Spirito Santo.