di ANDREA FILLORAMO
Un fenomeno che particolarmente mi ha colpito, venendo a Messina è quello del “turismo religioso”, molto diffuso nel territorio, al quale molti fedeli partecipano e al quale dei preti si dedicano, allontanandosi, magari, dalle parrocchie diverse volte e, quindi, per molto tempo durante l’anno. Essi amano fare gli “accompagnatori turistici religiosi”, organizzatori, cioè, di pellegrinaggi, di viaggi che dovrebbero essere compiuti esclusivamente per devozione, ricerca spirituale o penitenza verso luoghi considerati sacri. Come tali essi si occupano di accogliere e accompagnare gruppi nei viaggi sul territorio nazionale e all’estero su programmi, precedentemente predisposti dalle “agenzie di viaggio”. Si occupano prevalentemente del disbrigo degli adempimenti burocratici e amministrativi, favoriscono l’armonia all’interno del gruppo, gestiscono le “gratuità” concesse e il denaro richiesto dalle stesse agenzie. Per quanto concerne la questione “denaro” essi non si curano del fatto che, in mancanza di trasparenza, i malevoli possano pensare che una certa “percentuale”, di quanto richiesto, possa andare al prete organizzatore, diventando, così un’ulteriore “fonte di sostentamento del clero”. Se ciò avvenisse si dovrebbe parlare di una “percentuale” ai danni di chi forse per partecipare a un pellegrinaggio ha dovuto, per tanto tempo, mettere “euro su euro”, in attesa di miracoli che forse non avverranno mai. Nessuno può negare che il turismo religioso, al quale dei preti si dedicano, ha anche un significato culturale, se è vero che Il Consiglio d’Europa, il 23 ottobre 1987, ha definito 29 grandi Itinerari culturali, riconoscendo tra questi alcuni percorsi religiosi, ritenuti di primaria importanza anche culturale oltre che spirituale. Il Turismo religioso è anche un fenomeno economico di rilevante interesse per gli operatori, ma è sopratutto un fenomeno antropologico che non può sfuggire agli operatori pastorali come occasione di una Nuova Evangelizzazione. Esso è favorito anche dal Consiglio Permanente della C.E.I. che nella sessione 9-12 novembre 1987 ha istituito L’Ufficio Nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport con alcune finalità precipue. Mi si permetta di esprimere dei pareri personali: Ritengo, innanzitutto, che quella dell’”accompagnatore turistico” non è una professione confacente con la missione alla quale è chiamato il prete e, particolarmente un parroco. Ciò per diversi rischi che egli fa correre, organizzando viaggi “turistico- religiosi“. Il primo rischio è quello di incentivare il “devozionismo”, che è una falsificazione della fede, la cui origine occorre ricercarla nei secoli bui e che, purtroppo, oggi, è in progressiva diffusione. Il “devozionismo” tiene lontani i fedeli dagli aspetti fondamentali della fede ed è spesso alimentato per meschini motivi, anche di soldi. Il secondo rischio è quello di incentivare il “miracolismo”, che nasconde e snatura il messaggio evangelico nelle sue “componenti”, fatte di apparizioni, miracoli improbabili, segni visti anche nelle nuvole, messaggi sempre identici che si ripetono quotidianamente. Lo sappiamo, oggi il fenomeno del “miracolismo” cioè la vita vissuta con angoscia, ansia, curiosità smodata di fenomeni straordinari ecc. riemerge in modo prepotente. Vi sono, infatti, persone che sono continuamente alla ricerca di tali realtà ed esperienze. Il miracolismo non di rado sfocia nella superstizione, ed è la volontà di interpretare il miracolo alla stregua di incantesimo, magia o comunque di un intervento prodigioso atto a risolvere, immediatamente e senza alcuno sforzo personale, una determinata situazione difficile. Possiamo accennare ad un ulteriore rischio? No! Non mi sento di pensare che ci siano preti “disonesti”, quindi non posso parlare di rischio di “corruzione”. Sono sicuro che mai, davanti, ad un guadagno facile, ai danni di chi compie un atto di fede, partecipando a un “pellegrinaggio”, ci sia un prete che prenda il “ pizzo” su quanto richiesto. Egli non dirà mai che“pecunia non olet”, frase che viene cinicamente usata per indicare che, qualunque sia la sua provenienza, "il denaro è sempre denaro" o "il denaro è solo denaro"; nel senso che il mezzo non determina l’intenzione e che la provenienza non darebbe alcuna connotazione positiva o negativa al mezzo/strumento che è il denaro.