LO STUDIO DELLA CULTURA CRISTIANA FA BENE A TUTTI

In piena secolarizzazione può avere senso studiare un’opera di storia dell’istruzione dove si sostiene che bisogna studiare la cultura cristiana negli istituti superiori? Per gli studiosi Lorenzo Cantoni e Paolo Mazzerenghi che hanno curato l’opera fondamentale di Christopher Dawson, La crisi dell’istruzione occidentale, D’Ettoris Editori (Crotone 2012) ha molto senso, anche se si tratta di un testo datato e rivolto principalmente ai paesi anglosassoni. Ciò che serve per lo scrittore inglese, “è uno studio della cultura cristiana come realtà sociale – le sue origini, il suo sviluppo e le sue conquiste – giacché questo fornirebbe un bagaglio culturale che costituirebbe l’intelaiatura per unificare gli studi liberali, attualmente soggetti a disgregarsiin specializzazioni senza rapporti”. Non è uno studio di classici cristiani, ma culturale in senso sociologico e storico, che dovrebbe dedicare l’attenzione alle istituzioni sociali e ai valori morali della cultura cristiana. Dawson è consapevole che la sua idea può subire ostacoli sia da parte dei secolaristi che dei cristiani. I primi temono che lo studio della cultura cristiana si trasformi in propaganda religiosa. Mentre i secondi temono che il cristianesimo venga identificato con una cultura e un sistema sociale morto del passato, in particolare con il Medioevo. Ma per Dawson, il passato nella Chiesa non può mai essere morto, anche perché “i cristiani del passato sono ancora presenti come testimoni e aiutanti nella vita della Chiesa di oggi”. Certo sarebbe un errore idealizzare forme particolari della cultura cristiana che sono condizionati da fattori materiali e circostanze storiche. E’ il santo che vive la relazione perfetta tra fede e. Del resto Dawson scrive che “non vi è mai stata una società di santi, e il tentativo di crearne una, come nell’Inghilterra o nel Massachusetts puritani, rappresenta una perversione settaria della cultura cristiana”. Pertanto non vogliamo una società monastero dove tutti sono monaci. Tuttavia “è la natura stessa della fede e della vita cristiana di penetrare e di mutare l’ambiente sociale in cui vivono(…)”. Dawson ci invita ad osservare la Storia: “il cristianesimo venne nel mondo storico e trasformò realmente le società con cui venne in contatto: in primo luogo la società ellenistico-orientale dell’impero romano d’Oriente, in secondo luogo le società latine e barbare dell’Europa Occidentale”. Secondo Dawson la cultura cristiana va studiata in due modi: dall’esterno, uno studio storico obbiettivo della Cristianità, come una delle quattro grandi civiltà universali su cui si fonda il mondo moderno. L’altro modo, dall’interno: lo studio della storia del popolo cristiano, “i modi in cui il cristianesimo si è espresso nel pensiero, nella vita e nelle istituzioni dell’uomo attraverso i tempi”. Sono due modi di studiare che hanno “scopi educativi che dovrebbero combinarsi. Allo studente – per Dawson – dovrebbe essere fornita una conoscenza generale dello sviluppo esteriore della civiltà cristiana dagli inizi a oggi, e questo dovrebbe essere accompagnato da uno studio più dettagliato della vita, del pensiero e delle istituzioni cristiani (…)” A questo punto Dawson distingue sei periodi storici dello sviluppo della cultura cristiana. Per più di dodici secoli l’elemento religioso nella cultura ha costituito nella maggioranza degli uomini dalla culla alla tomba un elemento fondamentale. “In passato non è stato studiato perché gli uomini lo davano per scontato come l’aria che respiravano, ma, ora che la nostra civiltà sta diventando prevalentemente e progressivamente secolare, se dobbiamo comprendere il nostro passato e la natura della cultura che abbiamo ereditato è necessario farne uno studio esplicito”. All’XI capitolo l’accademico inglese si preoccupa dello studio della cultura cristiana nel college cattolico. E qui individua tre problemi che l’istruzione occidentale dovrà affrontare: il primo è “come conservare la tradizione dell’istruzione liberale contro la crescente pressione della specializzazione scientifica e dell’utilitaristica finalizzazione alla professione”. Il secondo, “come mantenere l’unità della cultura occidentale contro le forze dissolutrici del nazionalismo e del razzismo”. Infine il terzo problema, “come conservare la tradizione della cultura cristiana nell’età del secolarismo”. I primi due problemi riguardano qualsiasi università o istituzione d’istruzione superiore, mentre il terzo, riguarda specificamente icollege cattolici e le università cattoliche, proprio perché sono stati creati per quel fine.“Per essi la questione non è semplicemente culturale, ma religiosa, poiché la secolarizzazione dell’istruzione minaccia la stessa esistenza del modo di vivere cristiano e la comunità cristiana”.
Del resto il tradizionale sistema d’istruzione cattolica è crollato, dove tutti possedevano un retroterra comune d’insegnamento religioso. Mentre oggi, scrive Dawson: “l’esistenza di un sistema universale d’istruzione secolare fornito dallo Stato rende necessario che noi costruiamo un intero retroterra culturale e una vasta conoscenza generale, se non vogliamo che la nostra gente sia sommersa dalla marea del materialismo circostante”.Infatti Dawson è convinto che la cultura moderna non è per niente pluralista, come hanno sostenuto alcuni studiosi di scienze sociali. Anzi “è più unitaria, più uniforme e assai più centralizzata e organizzata di ogni altra cultura che il mondo abbia finora conosciuto”. L’istruzione moderna in pratica ha sottoposto l’intera generazione giovanile alle stesse influenze e alle stesse idee durante il periodo più fragile della loro vita, fino ad arrivare ad un pervasivo e opprimente “comune stile di vita”. Peraltro in questa cultura unitaria non vi è spazio per i concetti fondamentali per la visione cattolica e cristiana, come il soprannaturale, l’autorità spirituale, Dio e l’anima. Ecco perché la questione della “cultura cristiana e di tale e primaria importanza, giacché, se i cristiani non saranno capaci di difendere le loro tradizioni culturali, non saranno in grado di sopravvivere. Pertanto per Dawson, “E’ necessario mostrare non solo i pericoli per i valori umani inerenti alla nostra moderna cultura unitaria, ma anche i valori positivi della tradizione culturale cristiana e il suo significato universale”. Dawson attraverso Margaret Mead, cerca di spiegare che cosa sia la cultura, che non è solo libri, filosofia, religione, manifestazioni artistiche, scientifiche, ma è anche “procedimenti tecnici, costumi politici ed i mille usi che caratterizzano la vita quotidiana, dal modo di preparare e consumare i cibi o addormentare i bimbi, al modo di designare un primo ministro (…)”. Polemicamente Dawson confronta il mondo occidentale con le grandi culture universali, quella cinese, indiana e islamica, tutte hanno un ordine morale, ciascuna possiede o possedeva una legge sacra e un sistema di valori si cui fonda la sua vita sociale. Mentre “il mondo occidentale oggi non possiede più questo principio di ordine morale. E’ divenuto così profondamente secolarizzato da non riconoscere più alcun sistema di valori spirituali (…)”. Si dovrebbe pensare che “la società occidentale non possiede più una civiltà, ma solo un ordine tecnologico che riposa su un vuoto morale”, e invece la società occidentale essendo erede di una delle maggiori civiltà al mondo e nella misura in cui riconosce questo legame, si può benissimo scrivere, che “siamo ancora civilizzati ed è ancora possibile restaurare l’ordine morale mediante un ritorno ai principi spirituali su cui si fondava la nostra civiltà cristiana”. Al prossimo intervento per indicare i fondamenti teologici della cultura cristiana e la descrizione del vuoto religioso dell’uomo occidentale.

DOMENICO BONVEGNA
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