LA FESTIVITà DEL SANTO NATALE SECONDO CHESTERTON

Da qualche tempo le mie collaborazioni giornalistiche si sono indirizzate verso le recensioni di libri, pertanto in prossimità del Santo Natale, non sono riuscito a fare meglio che presentare un volumetto cheoffre al lettore una selezione di testi in prosa diGilbert Keith Chesterton dedicate al Natale. A pubblicare questi eccezionali scritti ci ha pensato l’anno scorso D’Ettoris Editori, brillante casa editrice di Crotone, col titolo: “Lo spirito del Natale”. Chesterton è uno dei più grandi scrittori inglesi, nato a Londra in una famiglia anglicana, convertito al cattolicesimo, alla sua morte, sarà ricordato come “dotato difensore della fede cattolica”, da Pio XI. In questa raccolta di testi, Chesterton, “ci mostra e ci fa gustare – scrive Fabio Trevisan nella presentazione – il paradosso della grotta, facendoci anche assaporare la riscoperta di tutte quelle cose che, ritenute di poco conto dal mondo, in realtà celano nell’umiltà il DivinoBambino”. Chesterton dinanzi alla Sacra Famiglia ci invita a contemplare il mistero della natività “tramite un quadro, una composizione di luogo che è al tempo stesso pittorica e mistica, realistica e palpitante”. Infattilo scrittore inglese è anche un poeta illustratore, alle parole accosta anche le immagini di alcuni dipinti famosi, tra i quali quelli del Veronese e del Tintoretto. Peraltro il libro pubblicato dalla D’Ettoris Editori, presenta alcune tavole che riproducono quadri celebri.
La raccolta chestertoniana curata da Maurizio Brunetti, all’inizio, presenta l’elogio dei canti tradizionali di Natale che risale al 1901. Canti che risalgono al Medioevo e che Chesterton “contrappone alla durezza dei teologi e all’ottusità del mondo moderno, che preferisce chiacchierare allegramente in mezzo a tanti rumori infernali della metropolitana piuttosto che ascoltare quei canti che‘rappresentano gli ultimi echi di quel vagito che ha rinnovato il mondo’”. In questi antologia scrive Trevisan non mancano critichenei confronti del “mondo scientifico”, freddo e presuntuoso che, “attraverso norme ferree salutistiche, vorrebbe impedirgli di gustare le prelibatezze culinarie del periodo natalizio, come il pudding, il tacchino(…)”. Chesterton prende di mira il cosiddetto vegetarianismo da salotto, ma anche la pace di marca tolstojana, dove convergono sia gli animalisti che i pacifisti. Pertanto “il sana realismo cristiano di Chesterton affonda le mani e la faccia in tutto quel ben di Dio, in ciò che Dio vide che era cosa buona, come il tacchino mangiato in casa Craticht nel Canto di Natale dell’amato Charles Dickens”. Inoltre Chesterton non manca di fare rimbotti ironici scherzosi, nei confronti di quei “restauratori del Medioevo”, che sono intenti a catalogare costumi, ballate e tanto altro, il nostro, avrebbe preferito che costoro “piuttosto che limitarsi a una sterile rievocazione dei tempi della cristianità, avessero profuso uguali energie a farli rivivere, proprio come la figura del re umorista AuberonQuin (…) nonché il ripristino delle cose belle, piccole e passate”.
I quadri degli artisti del Cinquecento dimostrano che “ciò che era potuto accadere un tempo può accadere anche oggi, costantemente”. Infatti scrive Chesterton: “Se il Tintoretto, o il Veronese, ha dipinto se stesso, la sua famiglia, i suoi amici, il suo cane, nella stessa stanza della vergine e del Bambino, era perché pensava che queste cose potessero stare insieme in una stessa stanza”. Sono stato colpito dalle splendide riflessioni di Chesterton in riguardo ai Re Magi e soprattutto all’importanza del significato teologico del dono, e a chi criticava lo scambio dei doni a Natale, rispondeva con queste parole: “I tre Magi giunsero a Betlemme portando oro, incenso e mirra. Se avessero portato con sé solo la Verità, la Purezza e l’Amore non ci sarebbero state né un’arte né una civiltà cristiana”. La raccolta degli scritti natalizi offrono diversi spunti di riflessione sulla superbia dell’uomo moderno e dei suoi super-saggi, che si contrappongono sempre più all’”umiltà della caverna e al passo docile e retto dei Tre Uomini Saggi, i Re Magi”.
Del resto i primi decenni del XX secolo erano pervasi dall’odio ideologico, dalle guerre e il cristianesimo era sempre meno punto di riferimento e la fede sembrava vacillare. In questo clima il Natale doveva scomparire, era un relitto del passato. “Il mondo moderno nella sua Rivoluzione, – scrive Trevisan – nella sua pretesa superba di cambiare il mondo aveva dimenticato il Bambino; aveva dimenticato la famiglia proprio perché si era scordato della Sacra Famiglia”. Pertanto si registra uno scontro, tra il vero spirito del Natale e quello nuovo modernista, così che Chesterton potrà scrivere: “Il Natale è assolutamente inadatto al mondo moderno. Presuppone la possibilità che le famiglie siano unite, o si riuniscano, e persino che gli uomini e le donne che si sono scelti si parlino (…) Il Natale giudica il mondo moderno, perciò vogliono che se ne vada”. Il grande scrittore inglese auspica che il Natale, possa convertire il cuore dell’uomo e che soprattutto diventi più domestico, occorre guardare sempre più alla Sacra Famiglia, alla famiglia umana. Il Natale ci fa scoprire il vero umanesimo, che può essere solo cristiano. “Non c’è Cristo senza umanesimo, ma ogni umanesimo è cristiano”, scrive nella prefazione, monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara . Per il prelato sono interessanti le osservazioni che Chesterton fa, “sulla riduzione naturalistica, moralistica, sociologistica, che elimina il Mistero delle stesse feste cristiane e le sostituisce con feste pseudo-cristiane e che Chesterton, in anticipo di cinquant’anni, denuncia sottolineando l’equivoco che evidenzia la festa dell’inverno invece che quella del natale, pure significativa è la fine del presepe, sostituito da riti più o meno paganeggianti”. Chesterton aveva capito che ormai la cristianità occidentale stava scomparendo o almeno si stava suicidando, “riducendo il cristianesimo a un marchingegno umano”, in questo modo per monsignor Negri, la civiltà occidentale distruggeva se stessa, “la sua esigenza di umanità, di verità, di bellezza di bene, di giustizia”. A questo punto si può sostenere quello che profeticamente ha anticipato Benedetto XVI: “l’apostasia dell’uomo da Cristo finisce per diventare l’apostasia dell’uomo da se stesso”.

DOMENICO BONVEGNA
Domenico_ bonvegna@libero.it