
di ANDREA FILLORAMO
Il “ post” di C.C, ricevuto in coda alla mia intervista relativa al “Comunicato dell’Ufficio Diocesano Comunicazioni Sociali, con cui si è voluto celebrare l’ottavo anniversario d’inizio del ministero di Mons. Calogero La Piana a Messina.”mi invita a fare alcune riflessioni sulle pagine di IMG PRESS, che da tempo accoglie i miei “scritti”, in cui ho cercato sempre di trasmettere, anche se in maniera molto spesso provocatoria, la mia visione personale della Chiesa, sia della chiesa universale e quindi, “cattolica”, sia di quella “ locale” e, quindi, “diocesana”. Credo che tale visione, se considerata attentamente, è la stessa di papa Francesco. Con ciò, non mi arrogo alcun diritto di interpretare quanto il pontefice “predica” e, con la sua testimonianza “pratica”. Tale visione l’ho appresa, fin dagli anni 60/70 dai “documenti” conciliari che sono stati lo stimolo del mio agire in quella che è stata allora la mia vita precedente. Il “post”, in questione, che vuol commentare i contenuti dell’intervista sopra citata, del quale l’autore, ne sono certo, autorizza, per motivi esplicativi, una parafrasi, parte dall’implicita considerazione che ai preti, vincolati dal voto di ubbidienza (voto che esiste solo per i religiosi e non i i preti secolari) non è consentito lamentarsi del proprio vescovo e se anziani della discriminazione operata a loro danno. Ciò in quanto, oltretutto, è data, a ognuno di loro, la possibilità, di accedere direttamente dal vescovo. L’autore del “post” finisce con il dire che l’invidia e la gelosia si accentuano particolarmente nei preti. Chiunque nota subito che il “post”, al quale faccio riferimento, ha un sapore “moralistico”, in quanto, e non poteva svolgersi diversamente anche per l’esiguità delle righe, dà esclusiva prevalenza a considerazioni morali astratte su persone singole e non racchiudibili in “categorie”, non fa riferimento a loro“ comportamenti”, non può calarsi nella realtà di un rapporto che, da quel che so, considero “malato”, “frustrato” fra il vescovo e molti preti della diocesi di Messina. Ritengo “malato” e “frustrato” il rapporto tra il vescovo e i suoi preti, data la mancanza del calore umano, forse da ambedue le parti, necessario aiuto per il cammino della Chiesa locale e l’assenza persino di una sana contestazione, con la cautela di esercitarla in “camera caritatis” e non sui media o con circolari pubbliche. Ogni accertamento di tale realtà richiederebbe, come necessario passaggio, un contraddittorio interno ma, per motivi di trasparenza, non segreto, che mai è stato concesso o mai voluto fra il vescovo che sostiene che i preti hanno sempre facile accesso nelle sue “ stanze” e i preti, che dicono che nel vescovo non riconoscono più il loro pastore, in quanto tiene sempre chiuse tutte le porte del dialogo. Quanto da me più volte scritto, dopo aver notato quella che ho chiamato, alcuni mesi fa, una “ ribellione silente”, pericolosa anche e soprattutto per i fedeli, voleva sollecitare tale contraddittorio. Non oso pensare che l’arcivescovo La Piana condivida quanto scritto nel “post” e cioè che “ai preti non è consentito lamentarsi del proprio vescovo e se anziani della discriminazione operata a loro danno”. Per lamentarsi non occorre il consenso, specialmente quando manca il dialogo. Per riparare i danni procurati dalla discriminazione, occorre umiltà e tanto coraggio nell’introdurre i cambiamenti. E’ certo che l’invidia e la gelosia, come si sostiene nel post, appartengono anche ai preti ma sono sicuro che molti di loro non sono invidiosi e non sanno cosa vuol dire la parola “gelosia”. Ma di chi devono essere invidiosi o gelosi? Forse dei numerosi monsignori” dei “totos caballeros” proprio come quelli che Carlo V, ad Alghero nel 1541, insignì di questo titolo quando le orde di straccioni si lamentavano dei loro stenti mentre i “caballeros” locali se la spassavano? Se ciò fosse vero, quanta tristezza nella Chiesa locale! Molti di loro, oltretutto, non possono più aspirare a diventare monsignori nel prossimo futuro, in quanto Il Pontefice ha definitivamente abolito il conferimento dell’onorificenza pontifica di “Monsignore” per tutti i sacerdoti secolari con un’età inferiore ai 65 anni. “D’ora in poi l’unica onorificenza pontificia che verrà concessa ai sacerdoti secolari sarà quella di “Cappellano di Sua Santità”, onorificenza che verrà eventualmente attribuita solo ai sacerdoti con più di 65 anni di età”. I preti messinesi non invidiano neppure quel parroco monsignore che, accompagnato da momenti di gioia e commozione, annuncia la sua nomina a vescovo ausiliare dell’archidiocesi di Firenze, senza accorgersi che era un solennissimo “pesce d’aprile”. Cambieranno le cose a Messina? Lo speriamo.