
di ANDREA FILLORAMO
In ogni diocesi c’è una carica obbligatoria, la cui nomina è riservata al vescovo ed è quella di Vicario generale. Tale figura è prevista dal Codice di diritto canonico, che nel can. 475, comma 1 così recita: “In ogni diocesi il vescovo diocesano deve costituire il vicario generale affinché, con la potestà ordinaria di cui è munito a norma dei canoni… presti il suo aiuto al Vescovo stesso nel governo di tutta la diocesi”. “Il vicario generale rappresenta il vescovo, cura i rapporti con le parrocchie e i vicariati, le concessioni degli imprimatur, i rapporti con gli enti territoriali e della società civile, l’amministrazione dei beni ecclesiastici e gli aspetti giuridici dei sacramenti e della loro celebrazione”. Da quanto previsto, quindi, dai sacri canoni, la funzione del vicario generale è indispensabile. L’indispensabilità è riaffermata implicitamente anche dal Decreto Conciliare sulla missione pastorale dei vescovi nella Chiesa “Christus Dominus”, quando afferma che nella “ curia diocesana è preminente l’ufficio del vicario generale”. Quella del vicario generale non è solo, quindi, una figura “burocratica”; non è una figura “liturgica”, ma una figura che deve essere capace di collaborare nella pastorale con il vescovo; idonea, quindi, a predisporre ed eseguire, con il vescovo, anche in maniera dialettica, il piano “pastorale”. In questo compito egli deve essere particolarmente capace non solo di “ ascoltare”, di ubbidire ma anche di “ criticare” in modo costruttivo. La critica costruttiva – lo sappiamo – è un abilità complessa e comprende assertività, empatia, comunicazione, ascolto, gestione delle emozioni, motivazione. Avendo a che fare, particolarmente con i confratelli, al vicario generale si possono dare gli stessi suggerimenti che il sopra citato Decreto Conciliare dà ai vescovi, che talvolta presi dai loro impegni, dimenticano di leggere o rileggere i decreti del Concilio Vaticano II oppure (horribile dictu!) li rinnegano. Il decreto, rivolgendosi a loro, dice: “trattino sempre con particolare carità i sacerdoti“ “Li considerino come figli e amici e perciò siano disposti ad ascoltarli e a trattarli con fiducia e benevolenza, allo scopo di incrementare l’attività pastorale in tutta la diocesi. Dimostrino il più premuroso interessamento per le loro condizioni spirituali, intellettuali e materiali”. “Seguano con misericordia attiva quei sacerdoti che, per qualsiasi ragione, si trovano in pericolo, o sono in qualche modo venuti meno ai loro doveri. Per essere in grado di meglio provvedere al bene dei fedeli, secondo il bisogno di ciascuno, cerchino di conoscere a fondo le loro necessità e le condizioni sociali nelle quali vivono”. “Si dimostrino premurosi verso tutti: di qualsiasi età, condizione”. Questi suggerimenti non sono dati ovviamente all’arcivescovo di Messina, che dopo cinque mesi dalle dimissioni di Mons. Lupò, non ha nominato ancora il vicario generale, figura indispensabile in ogni diocesi e non si capiscono i motivi; ma vogliono essere degli “auspici” per quel prete, fortunato o sfortunato non so, al quale sarà affidato questa difficile funzione, che deve limitare ogni “tentazione assolutistica”, che papa Francesco più volte ha ritenuto inammissibile nella Chiesa.