PSICOPATOLOGIA IN TEMPO DI CRISI: STRESS, VULNERABILITà E RESILIENZA

La stragrande maggioranza degli italiani, il 95%, ritiene che la crisi economica e sociale abbiano determinato un aumento delle persone che soffrono di disturbi quali depressione, ansia, abuso di alcool o altre sostanze. Inoltre, nel periodo compreso tra il 2009 (inizio crisi) e febbraio 2013, la percezione di un peggioramento della situazione economica è aumentata dal 53% al 62%. Nella psiche degli intervistati, il futuro è nero anche per quanto riguarda la situazione economica della propria famiglia: se a gennaio 2009 tale percezione è pari al 31%, a febbraio 2013 sale al 58%. Inoltre, il 48% degli italiani consiglierebbe un medico o uno specialista ad un amico in difficoltà. Infine, se c’è da scegliere tra parlare con un medico o tenere per sé i propri problemi, il 46%, dopo un momento di imbarazzo, si reca dal medico o da uno specialista; il 33% non si rivolge a nessuno e risolve il problema da solo; il 21% va subito o quasi dal medico o da uno specialista.
Questi i dati più significativi dell’indagine “Gli italiani e l’impatto percepito della crisi sulla psiche”, condotta nel 2013 dall’ISPO e commissionata dalla Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Dipartimento di Salute Mentale che ha voluto approfondire il tema dell’impatto della crisi nella diffusione di disturbi di carattere psicologico o psichiatrico.
Ed è proprio di questo che si è discusso oggi al Circolo della Stampa dove, esperti della SOPSI si soffermano, tra l’altro, su paura e impatto della crisi economica, eventi stressanti, disturbo bipolare, capacità di resilienza dell’individuo, mancanza di sicurezza occupazionale e di reddito.
“L’aggravarsi della crisi finanziaria stessa, la mancanza di sicurezze lavorative e di guadagno – ha dichiarato il Professor A. Carlo Altamura, Professore Ordinario di Psichiatria dell’Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e di Salute Mentale della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – determinano esaurimento e stress che sfociano in fragilità già presenti negli individui: le difficoltà economiche ed il peggioramento della situazione economica in generale hanno spesso aggravato alcune malattie e ne hanno slatentizzato di nuove. Hanno, inoltre, determinato un forte impatto per i pazienti e per i loro relativi caregivers, coinvolgendo tutta la comunità.
Da queste premesse nasce l’esigenza di porre attenzione anche sull’impatto che la recessione ha sulla gestione della salute mentale.

Secondo i dati del Rapporto Osmed 2014 sull’uso dei farmaci, gli italiani consumano un numero sempre più elevato di antidepressivi, tanto che questi farmaci rappresentano ad oggi una delle principali componenti della spesa farmaceutica pubblica.
Un esempio utile per comprendere quale effetto abbia la crisi economica sulle persone viene dall’esperienza dello studio dell’Osservatorio sulla Crisi della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano, inaugurato tre anni fa. Secondo gli esperti della Fondazione Ca’ Granda, la crisi colpisce fasce di popolazione eterogenee: oltre ai giovani, nei quali è rilevante il pensiero di ‘assenza di futuro’, ci sono anche individui con età media più elevata, compresa tra i 35 e i 59 anni, spesso in situazione di precarietà lavorativa. L’identità lavorativa è un importante fattore protettivo per la salute mentale delle persone, insieme alle relazioni familiari e sociali, alla sicurezza economica e a numerosi altri fattori. I dati dell’Osservatorio, ottenuti attraverso una metodologia rigorosa, mostrano come le persone psicologicamente colpite dalla crisi ricevano un minor supporto dalla propria famiglia o dall’habitat sociale rispetto alla popolazione generale e alle persone afferenti al centro per altre patologie, con la probabile conseguenza di esternalizzare maggiormente il disagio. La crisi, insomma, colpisce due volte: la prima a livello psicologico dell’individuo, la seconda ‘isolando’ la persona dal supporto di parenti e amici.
Inoltre, i ‘pazienti della crisi’ sono sia uomini che donne, con una lieve predominanza del sesso femminile. L’età media è 50 anni, anche se ci sono alcuni casi più ‘estremi’: il più giovane ha 25 anni, ma non mancano pazienti della terza età, un chiaro segno che le problematiche psicologiche riconducibili alla crisi economica sono trasversali a numerose fasce di popolazione. C’è infine una certa eterogeneità anche sotto il profilo professionale: a chiedere aiuto sono soprattutto piccoli commercianti, dirigenti di azienda e, paradossalmente, professionisti dell’area delle ‘professioni d’aiuto’, come educatori o operatori socio-assistenziali.

“La situazione – ha proseguito il Professor A. Carlo Altamura – deve essere tenuta sotto controllo, soprattutto grazie ad un lavoro congiunto che coinvolga diverse figure: psichiatri, psicologi ed operatori sociali, uniti per affrontare nel migliore dei modi le patologie crisi-correlate e per arginare l’aumento di suicidi, alcolismo, ansia, depressione o patologie cardiovascolari. Ma non solo nel nostro Paese la crisi finanziaria sta avendo pesanti ripercussioni sulla salute mentale della popolazione: basti pensare all’aumento del numero dei suicidi soprattutto in Nord Europa”.
Ma chi sono gli individui potenzialmente a rischio ora e nei prossimi anni? “E’ probabile – ha concluso Altamura – che siano i cosiddetti “pazienti della post-modernità”, caratterizzati da un sé fragile e portatori di disagi psichici legati a tematiche di narcisismo e dipendenza, patologie in crescita sin dagli anni’ 90: sostanze, gambling, shopping compulsivo e working addiction”.

La conferenza odierna è solo l’anticipo del 19esimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia, che si terrà a Milano dal 23 al 26 febbraio 2015.
GLI SPUNTI DI RIFLESSIONE EMERSI DAL DIBATTITO

1. La risposta clinica agli eventi della vita: quali mediatori?
“Durante la vita – ha affermato il Professor Massimo Casacchia, Professore Emerito di Psichiatria dell’Università degli Studi dell’Aquila – le persone affrontano eventi traumatici spesso non desiderati con cui devono comunque confrontarsi. Alcuni lavori hanno dimostrato che soprattutto episodi traumatici precoci possono lasciare tracce psicobiologiche che rendono vulnerabili le persone per tutto il corso della vita nell’affrontare situazioni avverse. Una serie di fattori potrebbe svolgere un ruolo di mediatori nel proteggere lo sviluppo di quadri psicopatologici o, al contrario, favorire la loro insorgenza. Tra questi mediatori quelli ambientali sembrano rivestire un ruolo determinante nello svolgere un meccanismo fisiopatogenetico potenziando la vulnerabilità delle persone. Accanto ai fattori ambientali – ha aggiunto il Professor Casacchia – possono giocare un ruolo di particolare rilevanza anche meccanismi più interni al soggetto che rientrano nella sfera cognitiva, la cui disfunzione può indurre il soggetto a vivere gli avvenimenti in modo drammatizzato o in modo diffidente e saltare troppo precocemente a conclusioni errate. La conoscenza più approfondita della storia del soggetto permette all’operatore di scoprire traumi anche lontani che possono aver reso vulnerabile il soggetto. Ma la conoscenza dei fattori ambientali e personali potrebbe diventare l’oggetto di interventi terapeutici finalizzati a contrastare la solitudine, migliorare l’ambiente familiare, favorire una ristrutturazione cognitiva, potenziare la dimensione della speranza e della spiritualità. La valutazione attenta della storia della persona e dei suoi punti di forza e di debolezza – ha concluso Casacchia – permetterà di erogare interventi personalizzati e scientificamente validi desunti dalla ricerca scientifica, le cui evidenze non sempre vengono traslate nella pratica quotidiana dei servizi”.

2. Resilienza e psicopatologia
“Nell’ambito degli esiti post-traumatici – ha commentato il Professor Alessandro Rossi, Professore Ordinario di Psichiatria dell’Università degli Studi dell’Aquila – la percentuale di disturbi mentali nella popolazione generale è molto minore della percentuale di esposizione ad eventi potenzialmente traumatici. Nell’ultimo decennio queste osservazioni hanno portato ricercatori e clinici a porre il loro interesse sugli esiti positivi dell’adattamento post-traumatico e, in particolare, alla resilienza. Tale costrutto è stato definito come processo o capacità di esito positivo a seguito dell’esposizione ad eventi traumatici o estremi, capacità di riprendersi e di uscire più forti e pieni di nuove risorse dalle avversità e processo attivo di resistenza, autoriparazione e crescita in risposta alle crisi ed alle difficoltà inevitabili della vita.
È quindi fondamentale – ha proseguito il Professor Rossi – capire come sia possibile intervenire sulla resilienza. In particolare, sono state sviluppate strategie psicoterapeutiche specifiche volte ad aumentare il benessere psicologico e la resilienza, validate in studi clinici controllati randomizzati. I risultati indicano che la resilienza può essere promossa da specifici interventi che consentano una valutazione positiva di se stessi, il senso di continua crescita, la convinzione che la vita ha uno scopo e significato, la ricerca e l’ottenimento di adeguati e significativi rapporti con gli altri, la capacità di gestire efficacemente la propria vita ed un senso di auto-determinazione. Alcune forme di psicoterapia – ha concluso Rossi – sono in grado di migliorare le caratteristiche psicologiche associate alla resilienza”.

3. Paure oggi: nuovi modelli biopsicopatologici, filosofico-sociali
“I disturbi psicopatologici in un tempo di importante crisi globale – ha dichiarato il Professor Alberto Siracusano, Ordinario di Psichiatria, Direttore del Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Università degli Studi di Roma Tor Vergata – obbligatoriamente portano a riflettere sulle diverse cause e caratteristiche della paura, sulle nostre vulnerabilità e sulle nostre capacità di resilienza. Mai come in questo momento l’interrelazione tra gli stress bio-psico-sociali e le vulnerabilità del funzionamento sociale e individuale si impongono come oggetto di riflessione e di strutturazione sugli interventi terapeutici. Da un punto di vista psicologico e psicopatologico, una delle cause più profonde alla base delle nostre angosce è rappresentata dalla perdita, rottura della sicurezza dei legami sociali e familiari. In campo psichiatrico, la nuova edizione del DSM (‘Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – fifth edition’) colloca la paura all’interno di diversi quadri psicopatologici e, in particolare, dei cosiddetti ‘disturbi d’ansia’. Negli ultimi anni – ha concluso Siracusano – le neuroscienze hanno fornito dei contributi sempre più significativi sui meccanismi neurobiologici della paura. La rivoluzione apportata da questa disciplina ha consentito la possibilità di implementare gli interventi terapeutici dei disturbi d’ansia: oltre agli interventi psicoterapici di tradizione più consolidata, benzodiazepine e soprattutto antidepressivi con azione di inibizione selettiva del re-uptake della serotonina (SSRI) sono ormai entrati di diritto nella pratica clinica quotidiana (Nutt 2005)”.

4. La crisi globale: dati demoscopici e dai servizi territoriali
“La crisi – ha affermato il Professor A. Carlo Altamura – sta mettendo a dura prova gli italiani e oggi è ancora più impellente riuscire a discriminare i cosiddetti casi ‘puri’, direttamente correlati alla particolare situazione economico-sociale, dai casi meritevoli di un’assistenza psichiatrica. Volendo semplificare, si possono individuare tre grosse categorie: la prima è quella di chi sta vivendo una situazione di disagio e di stress non patologica (ovvero la maggior parte delle persone) che in qualche modo si riesce a contenere; la seconda è quella delle persone in cui il disagio e le difficoltà iniziano ad andare più in profondità, provocando per esempio ansia e insonnia, con ripercussioni negative sulla qualità di vita; l’ultima è infine quella in cui ci si addentra nella malattia mentale, in cui viene meno la molla della reattività. Se nel primo caso la maggior parte delle persone riesce a far fronte alla situazione sfruttando le proprie risorse, nel secondo bisogna chiedere aiuto al proprio medico o a uno psicologo. Quando, invece, si arriva al cosiddetto “punto di rottura”, che diversamente da quanti molti pensano non è proporzionale al problema personale o di natura economica che si sta vivendo, bisogna affidarsi allo psichiatra.
Il peggioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione italiana – ha proseguito il Professor Altamura – ha avuto due effetti fondamentali:
• Aumento dei Disturbi dell’Adattamento e delle condotte di abuso
• Slatentizzazione di Disturbi dell’Umore (es. Disturbo Bipolare) associati a elevato rischio suicidario

E’ stato infatti osservato che ad ogni crescita del 10% del tasso di disoccupazione corrisponde una crescita dell’1,4% del tasso suicidario e che nella UE l’aumento della disoccupazione ha portato ad un aumento del 28% della mortalità legata all’alcol (Kentikelenis et al., 2014). Se nel caso dei disturbi di adattamento può essere sufficiente l’integrazione di un intervento psichiatrico (specifico) con supporto sociale/psicologico, nel caso di Disturbi dell’Umore (aspecifico) – ha concluso Altamura – risultano molto importanti (es. Disturbo Bipolare) una diagnosi tempestiva e l’impostazione di una terapia psicofarmacologica specifica in modo da ridurre la cronicizzazione e il rischio suicidario”.