di ANDREA FILLORAMO
Ormai tutti ci rendiamo perfettamente conto che papa Francesco, travolgendo credenti e non credenti e la stessa gerarchia, ha un unico obiettivo, che è quello di operare una grande ma difficile rivoluzione sia all’interno di una chiesa che non vuole più essere “elitaria”, “clericale” e “curiale”, sia all’esterno. Tale rivoluzione si caratterizza per l’”attenzione ai poveri”. Essa mai è stata tentata precedentemente da un papa, per quanto non sia mancato mai l’impegno “solidaristico” ma “paternalistico” della Chiesa per i meno abbienti. Tale impegno non realizza totalmente, però, la “carità evangelica”, che richiede necessariamente, per il papa, “stare” con i poveri”, “sporcarsi le mani”, l’”odorare di pecore”. Si sta creando, così, un vero, provvidenziale “movimento”, promosso dal Papa, che non è da confondere con i “movimenti pauperistici medievali” ereticali, che, come scrive Gioacchino Volpe erano formati da “fabbri, sarti, tessitori, scardassieri, contadini; gente ‘illetterata, e idiota’, come gli avversari la proclamavano, e come se stessa, a volte, amava chiamarsi; ignorante cioè sprezzante di quella cultura della Chiesa e degli alti ceti a cui il popolo minuto si sentiva estraneo… “Il movimento”, riesumato dal Papa dalle “ceneri” del Vaticano II, è più accostabile a quello di S. Francesco d’Assisi, di cui il pontefice orgogliosamente ha preso l’impegnativo nome. Ha ragione don Luigi Ciotti quando, perciò, dice che le parole di Francesco “da cui derivano gesti e scelte conseguenti, suscitano in tanti, anche non credenti, la speranza di una Chiesa profondamente e umilmente evangelica, al servizio del bene comune, lontana dalle tentazioni del lusso e del potere, attenta alla dottrina ma prima ancora ad accogliere i bisogni e le fragilità delle persone”. Come, in ogni rivoluzione, anche quella di papa Francesco non solo gode di simpatie ed attrazioni, ma anche di oppositori, che mal digeriscono l’impeto riformista di un papa ritenuto “ strano” perché aperto al dialogo, un papa, che ha osato elencare pubblicamente, con puntigliosità, senza ipocrita “ritegno”, nel discorso del 22 dicembre u. s. le quindici malattie della Curia, che sono le quindici malattie della Chiesa. Sono passati ben 187 anni da quando Rosmini scriveva Il "Trattato dedicato al clero cattolico", in cui indicava le “cinque piaghe della Chiesa”, messo immediatamente all’Indice. Nessuno oggi può mettere all’Indice” un discorso della Somma autorità della Chiesa, ma osteggiarla è molto facile. Sono, quindi, facili le reazioni scomposte dentro la Curia vaticana che, falcidiata da scandali e corruzioni, considera il Papa come corpo estraneo al suo sistema, consolidato di alleanze col potere mondano, alimentato da due strumenti perversi: il denaro e il sesso. E’ abbastanza nutrita la schiera di oppositori che ritengono il papa troppo rivoluzionario. Il quotidiano “Libero” cita i più potenti sia tra i porporati che tra gli intellettuali. Tra i primi spicca Raymond Leo Burke, 66 anni, nominato da Bergoglio patrono del sovrano ordine militare di Malta, e gli altri quattro porporati che insieme a Burke hanno scritto il volume "Permanere nella verità di Cristo": Gerhard Ludwig Muller, Walter Brandmuller, Velasio De Paolis e Carlo Caffarra, sostenuti a loro volta dall’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, già dato per papabile nello scorso Conclave, da Marc Ouellet e George Pell. Ci sono, poi, gli intellettuali. Il cattolico Antonio Socci da tempo mette in dubbio la validità dell’elezione di Bergoglio, lo storico Roberto De Mattei ha più volte criticato la sua strategia comunicativa definendola "pericolosa". Gli “ attacchi”, quindi, al papa dei cosiddetti “ tradizionalisti” sono tanti ma tante sono anche le reazioni che arrivano dalla base, che raccoglie le firme con il “ Fermiamo gli attacchi a papa Francesco”. Il Pontefice, intanto, continua a governare la Chiesa e con il suo “soave decisionismo” cambia il Vaticano pezzo per pezzo. Ciò farà scrivere a Dagospia: “ sarà pure il papa dei poveri ma Bergoglio non è certo un papa mammoletta. Visto che la Curia sta facendo un’opposizione sempre più acida e silenziosa, l’argentino usa il bastone e castiga chi gli rompe la mitra”.