di Ettore Sentimentale
Il 14 febbraio u.s. è stato anche per me un giorno speciale. In occasione del Concistoro straordinario durante il quale papa Francesco ha elevato alla “dignità cardinalizia” anche don Franco Montenegro, con un viaggio “mordi e fuggi”, mi sono recato a Roma per aderire – con molti altri -alla gioia di un figlio della nostra diocesi per un riconoscimento significativo da parte del papa.
La cosa più bella è stata rivedere tantissimi amici e condividere con loro questa giornata di particolare esultanza. Nel lungo serpentone di persone che si snodava in piazza S. Pietro, ho avuto modo di parlare con fratelli e sorelle lì convenuti per esprimere la propria riconoscenza al neo cardinale. Soprattutto ero a stretto contatto con preti e laici provenienti da Agrigento, che stimano e si sentono “orgogliosi” del loro pastore; ho sentito e rivissuto i momenti dei primi attimi della notizia del 4 gennaio u.s. dalla voce di alcune persone che in quel giorno si trovavano nella Chiesa di Ribera; ho avuto modo di riascoltare le iniziative della Caritas messinese dalle persone che hanno strettamente collaborato con don Franco agli esordi della stessa; ho sentito anche la perplessità di molti laici peloritani nel constatare una certa latitanza delle istituzioni ufficiali della nostra chiesa locale…
Il tutto fin quando, essendo iniziato il collegamento video e non essendo riuscito a oltrepassare il posto dellavigilanza, mi sono trasferito davanti a uno dei maxi-schermi per seguire quanto avveniva dentro la Basilica… Quando è stato il turno dell’arcivescovo di Agrigento, dopo il “fuori onda” sui poveri, dalla piazza si è alzato spontaneamente un fragoroso applauso.
Non riprendo alla lettera il breve dialogo fra il papa e mons. Montenegro (che tutti abbiamo sentito chiaramente), ma non posso non pensare a quanto scritto da un gruppo di laici francesi alla fine del 1968 (don Franco sarà ordinato prete nel 1969), nel volumetto “Se Cristo vedesse”, allorché auspicavano “domani la Chiesa di Cristo sia la Chiesa dei poveri (…) Bisogna che essa sia essenzialmente costituita di poveri e che i poveri vi stiano in casa da padroni”. L’augurio formulato 47 anni prima, trovava compimento. Questa è la chiave ermeneutica per leggere il ministero del card. Montenegro, perché lui ha assimilato quanto scrive S. Giacomo nella sua lettera: “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?” (2,5).
Nel pomeriggio, poi, nell’Aula Paolo VI, ho vissuto un altro momento di immensa letizia. Dopo l’ennesima fila, avendo superato indenne le “forche caudine” (il controllo), in compagnia di amici messinesi, prima di poter “salutare” il neo cardinale ho incontrato – fra le tante – alcune persone significative: mons. Giovanni Marra, arcivescovo emerito e p. Antonio Spadaro S.J., direttore di “Civiltà Cattolica”, molto vicino a papa Francesco. Con entrambi ho avuto modo di scambiare sentimenti di stima e di riconoscenza. Poco prima di poter abbracciare don Franco, invitato dal coro ho cantato anch’io “Quando Zancleinfranse gli idoli…” e ho gridato infine la relativa supplica alla Vergine: “O della Lettera Madre e Regina, salva Messina, salva Messina!”.
Mi avvicino così al cardinale Montenegro, “scortato” da due amici: don Salvatore Alessandrà (vedi foto) e il prof. Pippo Lipari. Il cappellano della Casa circondariale ha consegnato a don Franco due lettere da parte di mons. Francesco Sgalambro e di mons. Ignazio Cannavò e con quest’ultimo, tramite il suo telefonino, è riuscito a stabilire anche un contatto verbale con il neo cardinale.
Quando è stato il mio turno, dopo un fraterno e sincero abbraccio, qualche battuta del Cardinale per descriverequasi con “distacco” la ressa della folla che gli stava intorno e la promessa di potersi vedere con calma in altra sede, prendevo la strada del ritorno…
Con il cuore pieno di gioia.