di ANDREA FILLORAMO
Molte sono state le conseguenze pratiche del decreto del Concilio di Trento che vietava l’accumulo dei benefici ecclesiastici, dato dalla necessità di garantire la salvaguardia dell’autorità dei vescovi dalle intromissioni e dalle minacce esercitate spesso dalle autorità locali laiche. Col tempo essa si era trasformata per la Chiesa in condizione necessaria al rafforzamento della propria autorità, ma aveva, altresì, assunto proporzioni spropositate, fino a diventare una delle sue piaghe più gravi. Lo stato di corruzione all’interno della Chiesa aveva una delle sue espressioni più emblematiche nel cosiddetto “nepotismo” che dilagava tra i ministri della curia. I papi, in particolare, appena ascesi al soglio pontificio, avevano preso l’abitudine di elevare al cardinalato un parente stretto, normalmente un nipote, che veniva così a rivelarsi un elemento di fiducia nella conduzione del programma politico da loro predisposto. Mentre le conseguenze del fenomeno stavano progressivamente aggravandosi, ricorrere all’ausilio dei familiari si rivelava sempre più una necessità, ed era indice della complessità e del rischio che comportavano i meccanismi della politica ecclesiale. Molto spesso, per muoversi all’interno di relazioni così delicate e pericolose, ricorrere ad un familiare era ancora la scelta che forniva le maggiori garanzie. Quest’abitudine venne portata alle sue estreme conseguenze da papi come Niccolò V, Pio II, Sisto IV ed Alessandro VI, a partire dai quali negli uffici di curia diventarono dominanti le relazioni di parentela. Con il passare del tempo sia la figura del cardinale/nipote, sia la consuetudine di coinvolgere i parenti negli incarichi ecclesiastici non scomparvero affatto, anche perché non scomparve mai il rapporto fiduciario che sussisteva alla base dell’attribuzione dei medesimi. Troviamo queste consuetudini anche nei secoli successivi. Nondimeno, il nuovo clima di austerità segnò un mutamento di rotta con il passato anche su questo specifico aspetto e rese impossibile il perpetuarsi indiscriminato di quel proliferare di benefici e tornaconti che aveva contribuito in maniera determinante allo stato di corruzione del clero. Date queste premesse storiche, possiamo dire che il nepotismo ecclesiastico, è stato definitivamente eliminato? Assolutamente no! Possiamo solo affermare che oggi esso, e non solo quello degli ecclesiastici, è ritenuto una pratica esecrabile, che sta alla base di molti fenomeni di corruzione. Ai giorni nostri il nepotismo si presenta con forme variegate di “familismo amorale”, come l’ha chiamato BanfieldEdward C. per indicare quella “struttura di valori che porta alla ricerca di massimizzare un vantaggio materiale e immediato per sé e per la propria cerchia familiare o di fiducia”, che si presenta talvolta con forme occulte,giacenti e rintracciabili come informazione nella Rete. Se ciò accade, si può dire che “il diavolo fa le pentole e non i coperchi”.
Vogliamo un esempio? Basta essere un internauta per accedere awww.centonove.netsonsdel febbraio 2014 oppure awww.stampalibera.it e dedurre un caso presunto di “nepotismo” o se vogliamo chiamarlo “familismo” di un arcivescovo, che affida tutti i lavori di costruzioni e di restauro delle Chiese dell’arcidiocesi ad un direttore dei lavori, dal web definito “nipote del monsignore” in questione. E’proprio così? Nessuno ritiene Internet una fonte sicura su cui documentarsi. In Internet – lo sappiamo – non è tutto vero ma non è neanche tutto falso.Le notizie riportate da Internet, come quelle dei giornali, vanno sempre processate logicamente, non rimosse. Il fatto che esse presentino aspetti dubbi, non autorizzano a mettere da parte tutto il resto come falsoo incoerente. Ogni singolo aspetto di quel che ci appare va accolto come vero sino a prova contraria. Si può accettarlo “con beneficio di inventario” ma bisogna comunque accettarlo per vagliarlo. Sicuramente l’arcivescovo, che non è un ingenuo o uno sprovveduto, in quanto “responsabile” dell’amministrazione di una diocesi e gestore di una parte dell’8 per mille proveniente dalla fiscalità nazionale, conosce Il D.Lgs. 8.4.2013, n. 39 “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190” e, quindi, in tal caso, sarebbe a dir poco incongruo ed immorale il suo affidamentodi lavori per svariati milioni di euro ad un suo parente. Conseguentemente non è facile credere a tale familiarità (nipote) fra il costruttore e il vescovo ed essa forse è stata dal vescovo smentita. Tuttavia è lecito farci la domanda: “Senon c’è tale familiarità, come si legge nellepagine di “Centonove” e in “Stampa libera”da più di un anno, perché nessunoprovvede a far cancellare da Google tale notizia erronea o falsa o intervenire sui direttori dei giornali per le opportune correzioni? Si tratta di operazioni semplici finalizzate al recupero del “buon nome” e del rispetto che un “successore degli apostoli” merita, al di là che si chiami Tizio o Caio. Ai giorni nostri – e l’arcivescovo lo sa – c’è un’accresciuta attenzione alla dimensione etica in tutti i campi della vita sociale e, in particolare, nei confronti della Chiesa e una richiesta di trasparenza. Essa è una conseguenza delle profonde trasformazioni che stanno avvenendo in questi anni: da una parte il processo di democratizzazione fa sì che ciascuno si senta coinvolto in prima persona nei problemi etici che riguardano l’umanità intera, dall’altra i principi e le regole etiche tradizionali, dettati nel passato dalla Chiesa,che vengono sottoposti ad un radicale riesame e ad una verifica della loro applicabilità. Il carattere generale e necessario dell’etica obbliga a non escludere dalla sua sfera nessuno, chierico o laico che sia.